Athena

L'ennesimo film sulle banlieue. Uno sterile esercizio di stile studiato a puntino per la visione standardizzata ed anestetizzata di Netflix.

di EMILIANO BAGLIO 03/10/2022 ARTE E SPETTACOLO
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Si dice che il diavolo si nasconda nei dettagli oppure come in questo caso nei titoli di coda.

È lì che ritroviamo, tra gli attori, gli sceneggiatori ed i produttori di Athena il nome di Ladj Ly regista nel 2019 di quel Les misérables del quale parlammo anche qui http://www.euroroma.net/8989/ARTE%20E%20SPETTACOLO/i-miserabili-un-potentissimo-esordio-che-tra-action-e-sguardo-antropologico-ci-restituisce-la-vita-quotidiana-delle-periferie-dimenticate-.html.

Ancora una volta abbiamo a che fare con quelle periferie che da L’odio (1995) in poi sembrano essere diventate quasi un genere a sé stante del cinema francese.

Oramai le banlieue sono state approcciate da ogni punto di vista possibile ed immaginabile e la lista di titoli che partono da lì sarebbe lunghissima; si va dal controverso poliziesco BAC Nord (Cédric Jimenez 2021, anch’esso come Athena disponibile su Netflix) alla commedia di Due sotto il burqa (Sou Abadi 2017) passando per il riscatto sociale di pellicole a metà strada come Quasi nemici – L’importante è avere ragione (Yvan Attal 2017) ecc ecc.

Romain Gravas, al suo terzo lungometraggio, prova a dire qualcosa di nuovo intrecciando il tema della rivolta delle periferie e l’inevitabile scontro con la polizia con il dramma familiare.

Stavolta al centro di tutto c’è la morte del giovane Idir e la reazione ad essa dei suoi fratelli.

Karim (Sami Slimane) desideroso di vendicare Idir e alla guida della rivolta, Moktar (Ouassini Embarek) la cui unica preoccupazione è proteggere i propri affari criminali ed infine Abdel (Dali Benssalah) che, essendo militare, avrebbe il compito di calmare gli animi ed evitare il peggio.

Gli intenti di Romain Gravas sono alti e viene addirittura tirata in ballo la tragedia greca, soprattutto in una scena in cui è palese il richiamo a quel tipo di struttura, con l’eroe (Karim) al centro ed attorno gli altri rivoltosi disposti a semicerchio come fossero un coro.

Peccato che le intenzioni si scontrino con una sceneggiatura inesistente che procede per luoghi comuni e personaggi che sono meri stereotipi buoni solo per mandare avanti l’azione.

Non manca nemmeno il poliziotto alle prime armi che finirà ovviamente per diventare la vittima sacrificale.

In questa confusione generale abbondano i personaggi appena abbozzati che improvvisamente si scoprono bombaroli e gli improvvisi cambi d’umore di Abdel che passa da repentini scatti d’ira fratricida ad incomprensibili desideri di vendetta in quello che rimane tra i voltafaccia più rapidi della storia del cinema senza che nessuno si preoccupi di costruirci attorno un minimo di scavo psicologico del personaggio.

A Romain Gravas non resta dunque che lo sfoggio della propria bravura il cui esempio più eclatante è il piano sequenza iniziale di 15 minuti.

Sarà solo il primo di una lunga serie visto che tutto il film è strutturato in blocchi ognuno girato in piano sequenza.

Anche in questo caso però tutto si riduce solo a questo visto che per il resto Gravas dirige con la grazia e la leggerezza di un carro armato.

La sua estetica è palesemente figlia dei videogiochi e dei videoclip per i quali giustamente è divenuto famoso e tra i quali è impossibile non citare almeno Born free per M.IA. dal quale nascerà anche l’idea per il suo lungometraggio d’esordio Our day will come (2010) ed ancora di più Stress dei Justice che nei suoi 6 minuti e 45 secondi risulta molto più riuscito e convincente di questo Athena.

Resterebbe da dire sul messaggio veramente ambiguo del film, anch’esso confuso, vago, semplicistico e forse anche vagamente reazionario e della collocazione, questa invece perfetta, del film su Netflix che sembra l’approdo naturale per un simile prodotto.

C’è persino il rischio che qualcuno scambi questo finto brivido del tutto innocuo pronto per essere gustato asetticamente e passivamente dal divano per cinema d’autore.

EMILIANO BAGLIO


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