Flee

Tra animazione e documentario la vicenda di Amin profugo afgano in Danimarca, il primo film candidato agli Oscar come Miglior film d'animazione, Miglior Documentario e Miglior film internazionale.

di EMILIANO BAGLIO 12/03/2022 ARTE E SPETTACOLO
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Intendiamoci la storia di Amin ci avrebbe colpito nel profondo in ogni caso ma è altrettanto ovvio che ora, mentre i nostri occhi sono colmi delle tragiche immagini provenienti dall’Ucraina essa ci appare più attuale che mai.

Amin è scappato dall’Afghanistan attraverso la Russia sino in Danimarca in una fuga durata anni.

Alla vigilia del suo matrimonio con il proprio compagno, attraverso le interviste e le chiacchierate con l’amico regista Jonas Poher Rasmussen, per la prima volta, dopo una vita di menzogne, racconterà la sua vera storia.

Sono tanti i fili che segue Flee nel suo dipanarsi.

Parte, ad esempio, dalla storia dell’Afghanistan della fine degli anni ’80, costringendoci a rivolgere lo sguardo verso un paese il cui destino sembra scomparso dal radar della nostra pigra attenzione.

Quando Amin fugge, insieme alla sua famiglia, nel 1989, l’unica meta è la Russia e qui la sua vicenda privata si intreccia con quella del crollo dell’impero comunista.

Infine ci sono i vari tentativi di abbandonare l’Unione sovietica ed arrivare in Europa in un cammino della speranza e della disperazione che, inevitabilmente, ci ricorda quelli attraverso il mediterraneo.

Per dirla con termini che oggi non vanno più di moda in Flee il privato è politico e le vicende intime di una famiglia di esuli sparsa per l’Europa si fondono con la Storia con la S maiuscola degli anni ’80 attraverso una serie di nazioni che, ancora oggi, appaiono al centro della tensione internazionale.

Rimanere indifferenti è, chiaramente, impossibile e a rimanere impressi sono i dettagli, come d’altronde è per lo stesso Amin.

Alcuni sono gli stessi che tornano prepotentemente alla sua memoria.

Le luci rosse lampeggianti delle scarpe del bambino davanti a lui nella prima lunga traversata fuori dalla Russia in un bosco in mezzo alla neve.

Altri appartengono allo spettatore ed ognuno troverà i suoi.

L’addio tra Amin ed il compagno di viaggio della seconda fuga del quale il nostro protagonista non ricorda nemmeno il nome nonostante abbia fatto parte di uno dei momenti fondamentali della sua vita.

La quotidianità di questo nucleo familiare attraverso gli anni ed i luoghi, dall’innocenza dell’infanzia a Kabul ai lunghi pomeriggi solitari costretti dentro un anonimo casermone grigio della periferia di Mosca a guardare telenovela sudamericane pur di passare il tempo.

Gli scaffali dei supermercati russi del 1989 completamente privi di cibo, il primo McDonald’s, gli occhi ed i capelli della ragazza catturata dalla polizia russa un attimo prima che la porta del blindato si chiuda ed il rimpianto del protagonista per non essere intervenuto.

Oppure la meravigliosa sequenza in cui Amin, finalmente, confessa ai propri familiari la propria omosessualità e ciò che accade dopo che è impossibile raccontare senza rovinare uno dei momenti più intensi, commoventi e grondanti di affetto ed amore di questo film.

Perché Flee, al netto di tutte le tematiche che affronta, alla fine è la storia di una famiglia e di come sia riuscita a rimanere insieme, unita, nonostante tutto ed al di là delle difficoltà, dei traumi e delle differenze.

Una storia d’amore e di speranza, insomma.

Rimane da dire dello stile scelto che è quello del film d’animazione al quale si mescolano spezzoni di repertorio presi da telegiornali in una forma ibrida che in forma diversa era già stata tentata in Ancora un giorno.

Si tratta in questo caso non però di una scelta estetica ma dettata da ragioni pratiche, ovvero preservare la reale identità di Amin e dei suoi familiari.
Peccato che alle volte la qualità dell’animazione, soprattutto nelle sequenze ambientate nel presente, sia di bassa qualità.

Sarebbe bastato un piccolo sforzo in più ed avremmo un film perfetto.

EMILIANO BAGLIO


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