Cop 26. Ecco gli accordi su deforestazione, emissioni metano e tecnologie pulite. Eppure alla transizione energetica solo il 3% dei fondi per la ripresa

Stop alla deforestazione, nuovi impegni per ridurre le emissioni di metano, più fondi per lo sviluppo delle tecnologie pulite innovative con adesione italiana alla Global Energy Alliance: su questi temi la Cop 26 in corso a Glasgow (fino al 12 novembre) ha raggiunto vari accordi a livello internazionale.
Deforestazione
I leader mondiali di oltre cento Paesi, inclusi Brasile, Canada, Cina, Congo, Indonesia e Russia, hanno sottoscritto la dichiarazione di Glasgow sulle foreste, che prevede di arrestare la deforestazione e il degradamento dei suoli entro il 2030.
Per supportare questo impegno globale, saranno messi a disposizione quasi venti miliardi di dollari tra finanziamenti pubblici e privati, evidenzia una nota ufficiale della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.
Nel complesso, i Paesi firmatari ospitano la quasi totalità (85%) delle foreste mondiali.
Parte dei fondi servirà a sostenere progetti contro la deforestazione nei paesi in via di sviluppo e per aiutare le popolazioni indigene e tutelare i loro diritti, poiché molte comunità locali dipendono dal corretto utilizzo di suoli e foreste per il loro sostentamento.
Sarà da vedere se questo impegno riuscirà a fermare la distruzione di ecosistemi per la produzione di soia, olio di palma, cacao e altre colture, alcune delle quali sono ampiamente utilizzate anche nel settore dei biocarburanti.
Intanto la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Layen, ha affermato a Glasgow che Bruxelles contribuirà con un miliardo di euro al nuovo impegno sulle foreste e che presto presenterà un regolamento europeo contro la deforestazione.
Emissioni di metano
Un altro accordo storico raggiunto alla Cop 26 è quello sulla riduzione di almeno il 30% delle emissioni globali di metano entro il 2030, rispetto ai livelli del 2020.
È il Global Methane Pledge, lanciato da Unione europea e Stati Uniti e già siglato da più di cento Paesi, che in totale sono responsabili di circa metà delle emissioni antropogeniche di metano.
Il metano, infatti, è un potente gas-serra, che nel breve periodo contribuisce in modo rilevante al surriscaldamento terrestre.
Una nota della Commissione Ue sottolinea che diverse organizzazioni filantropiche si sono impegnate a finanziare questa iniziativa sul metano con 328 milioni di dollari, che si aggiungeranno ai fondi stanziati da diverse banche e istituzioni finanziarie europee.
Fondi alle tecnologie pulite
Poi alla Cop 26 più di 35 Paesi hanno firmato la Glasgow Breaktrough Agenda, che punta ad accelerare la diffusione delle nuove tecnologie per abbattere le emissioni in tutti i settori economici, in particolare: produzione di energia, trasporti stradali, idrogeno, produzione di acciaio, agricoltura.
Diverse iniziative andranno a supportare questa agenda di innovazione tecnologica, tra cui la Global Energy Alliance, lanciata da Fondazione Rockefeller, Fondazione Ikea e Bezos Earth Fund, che finanzierà la transizione energetica pulita nelle economie emergenti con un budget iniziale di 10 miliardi di dollari.
Alla Global Energy Alliance ha aderito il nostro Paese, con un primo contributo di 10 milioni di euro annunciato dal ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani.
Solo il 3% dei 16,9 trilioni di dollari che i governi hanno messo in campo finora per la ripresa post Covid-19 andrà all’energia pulita.
La quota è aumentata dal 2% circa di luglio, e questo è il secondo aumento anno-su-anno più grande nella storia degli investimenti low carbon, ma siamo ancora nettamente fuori strada rispetto a quanto dovremmo fare per limitare il riscaldamento globale a livelli non disastrosi.
L’avvertimento, diffuso a tre giorni dall’inizio della CoP 26 e alla vigilia del G20, arriva dalla Iea, l’Agenzia internazionale per l’energia.
Secondo nuove stime del Sustainable Recovery Tracker pubblicato dall’Agenzia (link in basso), negli ultimi tre mesi i governi hanno aumentato del 20% la spesa per la ripresa economica destinata agli investimenti in energia pulita. Ma la spesa è fortemente squilibrata verso le economie avanzate e carente nei paesi in via di sviluppo, restando così ben al di sotto di quanto necessario per ridurre le emissioni globali di CO2.
“Stiamo assistendo a una ripresa diseguale e insostenibile dalla crisi economica dello scorso anno, una ripresa che consiste in un’enorme crescita del consumo di combustibili fossili, lasciando indietro quasi l’80% della popolazione mondiale nel passaggio a un’economia energetica nuova e più pulita”, ha affermato il direttore esecutivo della Iea, Fatih Birol.
“Alla vigilia del vertice dei leader dei G20 e della conferenza sui cambiamenti climatici CoP 26, i governi delle principali economie devono dimostrare di essere pronti a disporre un massiccio aumento degli investimenti nell’energia pulita a livello globale e a guidare il mondo su un percorso più sicuro. Il fatto che non spendano come predicano potrebbe far sfumare l’opportunità di limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C”, sottolinea Birol.
La Iea ha introdotto a luglio il Sustainable Recovery Tracker per valutare quanto le misure per la ripresa siano coerenti con la roadmap che l’Agenzia ha pubblicato lo scorso anno, il Sustainable Recovery Plan.
Il piano della Iea raccomandava 1 trilione di dollari di investimenti annuali globali nell’energia pulita per tre anni, per essere coerenti con gli obiettivi climatici, stimolando la crescita economica e l’occupazione. In totale, ad oggi, i governi hanno stanziato circa 470 miliardi di dollari per investimenti in energia pulita da qui al 2030, mostra il Sustainable Recovery Tracker, lanciato come contributo alla presidenza italiana del G20 e che continuerà ad essere aggiornato regolarmente.
Anche se le economie avanzate “si stanno muovendo con decisione” verso una ripresa sostenibile, si sottolinea, gli investimenti globali si fermano a circa il 40% del livello richiesto dalla Iea nel suo Sustainable Recovery Plan.
Alcuni paesi ricchi, tra cui Francia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti, stanno elaborando e approvando nuovi programmi di investimento: questo potrebbe allineare le economie affermate alla traiettoria raccomandata dalla Iea, se tutto andrà bene, viste le difficoltà politiche (si veda il caso Usa) e i problemi nelle filiere delle tecnologie chiave (si veda quanto sta succedendo nel FV).
Il problema maggiore è nelle economie emergenti e in via di sviluppo: è lì che si dovrebbe investire di più in energia pulita nel prossimo decennio, ed è lì che invece si sta facendo meno. Se guardiamo solo a quelle economie, gli investimenti oggi sono al 20% del livello raccomandato dalla Iea, con poche nuove spese in cantiere a causa dell’inasprimento dei vincoli fiscali dovuto alla pandemia (si veda l’articolo che abbiamo pubblicato stamattina in proposito).
“La carenza di spesa per la ripresa sostenibile nelle economie emergenti e in via di sviluppo è un problema globale che richiede una soluzione globale. Questi paesi non hanno il lusso di finanziamenti a basso costo di cui godono molte economie avanzate. Il mondo ha urgente bisogno di elaborare misure coraggiose per mobilitare e convogliare investimenti in energia pulita verso le economie emergenti e in via di sviluppo su vasta scala. È qui che ridurre le emissioni è più necessario e ha un miglior rapporto costi benefici”, sottolinea Birol (mentre invece sappiamo che i paesi ricchi non stanno onorando gli impegni che hanno preso in merito).
Per la prima volta, il Sustainable Recovery Tracker ha anche valutato gli impatti sull’occupazione: si stima che gli attuali piani governativi creeranno ulteriori 5 milioni di posti di lavoro nell’energia pulita a livello globale entro il 2023, la maggior parte nell’edilizia, nonché nelle infrastrutture elettriche, nelle rinnovabili e nei veicoli elettrici. La mancanza di lavoratori qualificati per riempire queste posizioni, si avverte, potrebbe essere un grosso collo di bottiglia.
