Minari

L'epopea di una famiglia di immigrati coreani alle prese con il sogno americano.

di EMILIANO BAGLIO 08/05/2021 ARTE E SPETTACOLO
img

Il piccolo David (Alan Kim) si è appena trasferito in Arkansas con i suoi genitori e la sorella maggiore.

Il padre Jacob (Steven Yeun), infatti, ha deciso di seguire il suo sogno di diventare agricoltore ed ha portato l’intera famiglia a vivere su di una casa su ruote in mezzo al nulla, nonostante la delusione di sua moglie Monica (Han Ye-ri).

 

Minari, in teoria, avrebbe dovuto essere l’ultimo film di Lee Isaac Chung, deluso dall’insuccesso dei suoi precedenti lavori.

Proprio per questo il regista ha deciso di prendere ispirazione dalla propria biografia.

Minari è dunque il racconto di un uomo pronto a tutto pur di realizzare il suo sogno americano.

Jacob, mentre insieme alla moglie continua a lavorare in una fabbrica dove controlla il sesso dei pulcini, è deciso a fare tutto da sé con il solo aiuto del vicino Paul (Will Patton), un tipo strambo e profondamente religioso.

Tutti gli sforzi, però, sembrano non approdare a nulla mentre la vita familiare e quella economica vanno a rotoli logorando il rapporto con la moglie, preoccupata soprattutto per la fragile salute del piccolo David, affetto da una patologia cardiaca.

L’unica soluzione sembra essere quella di far venire dalla Corea Soon-ja (Yoon Yeo-jong, premio Oscar come miglior attrice non protagonista), anziana madre di Monica.

Soon-ja, per il piccolo David, sarà una vera delusione visto che la nonna non corrisponde affatto a ciò che lui si aspettava.

L’anziana donna infatti beve, gioca a carte, fuma e soprattutto non sa cucinare i biscotti, cosa gravissima agli occhi del nipote.

Lee Isaac Chung mette in scena la storia, comune a tanti, di una famiglia di emigrati e costruisce tutto il suo film su metafore e contrapposizioni.

In questo schema Soon-ja incarna le radici coreane del nucleo familiare e Jacob è il sogno americano fatto persona.

La domanda di fondo che attraversa tutta la pellicola è come si possa sopravvivere alla colonizzazione culturale e alla perdita della propria identità e se perdere le proprie radici equivalga, automaticamente ad una sconfitta.

Jacob dunque è il self-made man americano che insegue sogni di gloria che pure potrebbero costargli tutto, a cominciare dalla propria famiglia.

Il suo matrimonio, infatti, è praticamente arrivato alla fine.

Monica non sopporta più quella vita sacrificata ed il suo personaggio finisce per essere una sorta di ponte tra passato e futuro.

Su di lei sembra gravare il peso più grande.

Ha sacrificato tutto per il marito, seguendolo in mezzo al nulla ed ora si ritrova intrappolata in un futuro senza sbocchi, spersa in un’immensa prateria completamente da sola.

L’unico conforto sembra venire dalla religione che è anche l’ultimo labile legame tra la donna e le sue origini.

Al polo opposto c’è invece Soon-ja, un personaggio completamente alieno rispetto alla cultura americana.

Non è un caso che il piccolo David non la riconosca come nonna e si lamenti continuamente dei suoi comportamenti.

David, infatti, ha già completamente introiettato la cultura del paese ospitante.

Non ha più legami con il paese dei propri genitori, è in tutto e per tutto figlio dell’America.

Il sogno stelle e strisce però comporta un prezzo da pagare, per raggiungerlo bisogna sacrificare ad esso tutto ciò che si ha, innanzitutto i propri affetti.

Lungo tutto Minari si consuma, continuamente, uno scontro tra la cultura del paese ospitante e le proprie radici.

Sebbene l’opera di Lee Isaac Chung possa sembrare una celebrazione del mito americano della frontiera e dell’uomo artefice della propria fortuna e dunque un film americano al 100%, in realtà sotto la superficie si agita, forse anche inconsapevole, una critica a quel sistema che rischia di disumanizzare Jacob, che procede come un cieco nella sua ricerca di autoaffermazione, apparentemente insensibile ai drammi delle persone che lo circondano.

Insomma sono tanti i temi messi sul piatto dal regista; compreso il ruolo, apparentemente succube, della donna.

Non a caso la soluzione allo scontro avverrà da una sorta di deus ex machina, incarnato ancora una volta dall’anziana Soon-ja.

Il sogno americano è destinato, letteralmente, ad andare in cenere sebbene a causa di un incidente, ma la metafora è sin troppo chiara.

L’anziana donna però, nel frattempo, ha piantato alcuni semi di Minari.

Questi, lasciati a sé stessi, sono cresciuti rigogliosi e forse proprio da essi potrà partire la rinascita della nostra famiglia.

Anche in questo caso la metafora non poteva essere più esplicita.

Il minari simboleggia le nostre radici culturali, tornare ad esse e riscoprirle per Lee Isaac Chung, è l’unico modo per sopravvivere alla colonizzazione culturale senza rimanere vittime del sistema.

Il sogno americano, insomma, appare più che altro un incubo nel quale gli immigrati vengono completamente spogliati della propria identità e nel tentativo di conformarsi alla cultura del paese che li ospita finiscono per rimanerne schiacciati .

A meno che non riescano a conservare le proprie radici e siano in grado di ripartire da quelle.

 

EMILIANO BAGLIO


Tags:




Ti potrebbero interessare

Speciali