Corte di Cassazione. "La 'ndrangheta la più potente organizzazione criminale oramai ben radicata al Nord"

di Filippo Piccione 04/07/2014 POLITICA
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Per lungo tempo se ne è negata l’esistenza. C’è voluta la sentenza della Corte suprema di Cassazione per stabilire che la ‘ndrangheta comanda anche nel nord d’Italia. L’Inchiesta Infinito-Crimine, iniziata nel luglio 2010, con 154 arresti in Lombardia e 156 in Calabria, è stata condotta dalla DDA di Milano.

L’indagine ha svelato gli interessi mafiosi nelle Asl, le infiltrazioni nelle istituzioni pubbliche, le prime mire sull’Expo, negli appalti, nei subappalti, senza che siano venute meno le attività criminose tradizionali, come le estorsioni, l’usura, il traffico e lo spaccio di droga. Le aziende, prive di liquidità, vengono ingurgitate pezzo dopo pezzo perché  costrette ad affidarsi alle  linee di credito messe a disposizione dalle ‘ndrine. Si è altresì appurato che l’organizzazione criminale calabrese è dotata di una struttura unitaria, analoga a Cosa nostra, con una propria cupola e con propaggini al nord e in altre città d’Italia. Diversamente da come era stata definita nel 2008 dalla commissione parlamentare antimafia, essa non ha una struttura tentacolare, orizzontale e parcellizzata.

Un quadro abbastanza chiaro e allarmante anche se si sapeva che Cosa nostra, camorra e ‘ndrangheta hanno continuano interloquire con quasi tutti i poteri politici, compresa la Lega che si era chiamata fuori quando fu accusata di essere complice e connivente e subito smentita dai rapporti che Belsito, il tesoriere del Carroccio, aveva intrattenuto, in particolare con gli uomini della ‘ndrangheta. Anche il sindaco Moratti confutò, indignata, l’esistenza della mafia nella sua Milano. I leghisti padani, con in testa l’allora ministro Maroni, scatenarono una violenta campagna di delegittimazione nei confronti di Roberto Saviano il quale in una trasmissione televisiva aveva denunciato che l’imprenditoria criminale e il mondo politico lombardo si erano saldati a tal punto da dar vita a  un’esponenziale crescita economica corrotta presente anche in molte altre aree del nord.

Con questa sentenza si stabilisce che non si tratta di un fisiologico tentativo d’invasione delle mafie verso il Nord ma di un vero e proprio intreccio fra cultura e meccanismi criminali, come quelli che hanno alimentato per moltissimi decenni la malavita organizzata in tutto il Mezzogiorno.

Si è arrivati a questa sentenza grazie a un’operazione complicatissima eseguita coralmente fra la magistratura e le forze dell’ordine. Una duplice inchiesta fatta da nord e da sud. Ilda Boccassini e il compianto capo della Polizia di Stato, Antonio Manganelli, Giuseppe Pignatone, allora procuratore a Reggio Calabria e ora a Roma,  e Michele Prestipino, procuratore aggiunto.

Dalla sentenza  emerge che la Lombardia, e più in generale le grandi regioni, come Piemonte e Veneto, sono diventate territori di mafia. Una situazione rispetto alla quale da parte della politica e delle istituzioni non sono state mai intraprese iniziative di contrasto in grado di arginare questo sistema collusivo, come peraltro dimostrano gli esempi scandalosi dell’Expo 2015 a Milano e del Mose a Venezia.

Roberto Saviano, nel ricordare gli attacchi nei suoi confronti, mossi da politici e mafiosi, ha sentito il bisogno di rendere omaggio a Ilda Boccassini e al suo impegno profuso in completo silenzio. La quale ha saputo respingere con i suoi comportamenti e con i fatti gli insulti e le calunnie che le sono piovute addosso,ottenendo un risultato importante, come quello della sentenza della Cassazione. Un risultato, frutto della sinergia fra le procure di Reggio Calabria e di Milano e dal ruolo fondamentale svolto da tutti gli Uffici giudiziari coinvolti nei vari gradi e stadi dei processi.

La sentenza della IV sezione Penale della Cassazione deve suonare da monito e d’insegnamento. Soprattutto per tutti coloro che intendono  combattere seriamente ed efficacemente le mafie e l’illegalità, il cui radicamento sta diventando un angosciante grido d’allarme, come quello sollevato dalle vicissitudini di queste settimane in cui a decidere le sorti dell’Italia pareva fossero rimaste soltanto le varie “cupole” degli appalti. Il governo Renzi è impegnato a trovare gli strumenti adatti ad assestare un colpo decisivo al loro strapotere. Anche questo, accanto alle riforme, sarebbe un passo storico per un’Italia che vorremmo davvero libera dalla corruzione e dal malaffare.

 

 

 

 

 



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