Il vocabolario dello sport. Quando le parole fanno male

di Eleonora Caradonna 09/12/2013 CULTURA E SOCIETÀ
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Che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per sé, sono vuote? Vuote caro mio. E voi le riempite del senso vostro nel dirmele; e io nell’accoglierle, inevitabilmente, le riempio del senso mio. Abbiamo creduto di intenderci, non ci siamo intesi affatto…”. Mai espressione fu più lungimirante. A dirla, infatti, quasi un secolo fa era Luigi Pirandello. Non sarebbe necessario scomodare il grande scrittore nostrano se la questione non fosse delle più urgenti: si registra infatti, ogni giorno di più, un crescente e inquietante utilizzo della parola impiegata spesso erroneamente.

E, a incappare nell’errore sono, udite udite, proprio i mass media. In particolare quelli che trattano e approfondiscono argomenti sportivi. Termini che fanno riferimento esplicito a guerre e battaglie, sulle quali è molto difficile costruire un senso diverso. Come se, anziché essere nel 2013, fossimo nell’arena del Colosseo a prendere parte a qualche battaglia navale o a lottare contro animali feroci… ma anche epiteti con forti riferimenti razziali per indicare questo o quel giocatore in campo… e ciò che colpisce è che spesso i responsabili sono proprio giornalisti professionisti con un importante curriculum alle spalle.

Ebbene di questo fenomeno si è discusso alla facoltà di Giurisprudenza di Roma Tre, durante la conferenza “Anche nello sport…parlare civile”. Titolo preso dal libro pubblicato dall’agenzia stampa  Redattore Sociale in collaborazione con l’Associazione Parsec. Accanto a Diego Mariottini, responsabile della comunicazione dell’Ufficio Sport di Roma Tre, ospiti di spicco: Antonio D’Alessandro presidente dell’Associazione Parsec; Corrado Zunino, giornalista di Repubblica; Mauro Valeri, sociologo responsabile dell’Osservatorio su razzismo e antirazzismo nel calcio; e Massimo Solani penna de L’Unità. Presenti anche Gianluca di Girolami, Presidente UISP Roma, Marco Mencaglia, Vicepresidente ACLI Roma e Riccardo Viola Presidente del Comitato Regionale CONI Lazio, i quali hanno portato i loro saluti.

“Si tratta del primo di una serie di appuntamenti organizzati dall’Ufficio Iniziative Sportive dell’ateneo romano volti ad aprire un istante di riflessione su alcuni temi connessi con lo sport. - ha spiegato Diego Margottini - E’ ora che si prenda coscienza del valore della parola e, quello che è emerso a seguito di una attenta ricerca che abbiamo portato avanti, è stato un vero e proprio bollettino di guerra: ‘La Juventus abbatte il Parma 4-1’… ‘Il Milan annienta il Chievo e incalza la Juve’… ‘La Lazio asfalta il Chievo’… ‘Brescia, l’assalto alla A parte con un nuovo timoniere’… ‘L’Udinese distrugge l’Inter’.

Queste sono solo alcuni dei titoli raccolti, ma la lista è lunga”. A fare eco al caporedattore, Gianluca di Girolami, presidente dell’UISP di Roma: “Le parole sono importanti, e il loro uso riveste un peso sostanziale. Non si tratta solo di migliorare il proprio vocabolario ma credo sia necessario prima di tutto cambiare la mentalità. E’ sufficiente guardare le interviste di un dopo partita, considerate un tribunale dagli stessi giocatori perché chiamati a perorare la causa della loro squadra”. Più moderato Corrado Zunino. Il giornalista, infatti, si è detto convinto che a usare un linguaggio poco appropriato siano in particolare i giornali on line, perché vivono di condivisioni, anche se, ha avvertito un cambiamento nel linguaggio giornalistico e conseguentemente nel modo di seguire e partecipare agli eventi sportivi da parte dei tifosi, dopo il primo scandalo di calciopoli. Massimo Solani, giornalista sportivo de L’Unità, ha azzardato una possibile soluzione. “Basterebbe che ogni fruitore dei mezzi stampa – ha affermato - avesse modo di confrontare 3 o 4 giornali per avere un quadro imparziale della situazione”.

Un’ottima soluzione se tutti avessero cinque euro da spendere in edicola, oltre agli strumenti utili per procedere a un’attenta analisi semiotica del testo giornalistico… e, anche se fosse, il problema dell’utilizzo della parola (nel bene o nel male) non muterebbe finché la fonte non muta. Ma poi, può mutare la fonte? Non è che la parola sia portatrice di una forza intrinseca da imporsi su qualsiasi divieto, interdizione o impedimento?



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