Miss Marx

Tra militanza politica e biografia privata gli ultimi anni di Eleanor Marx

di EMILIANO BAGLIO 10/10/2020 ARTE E SPETTACOLO
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Susanna Nichiarreli, nel ritrarre gli ultimi anni di vita di Eleanor Marx (dal 1883 al 1898) si muove in bilico tra la Storia con la S maiuscola e la biografia privata.

Il risultato è un film composito, nel quale si mescolano diversi linguaggi filmici in un continuo gioco di specchi tra il significato dei dialoghi e delle immagini e la vicenda narrata, con continui rovesciamenti di senso.

Miss Marx, va detto, ha molte frecce al suo arco.

Si prenda, ad esempio, la parte più esplicitamente militante e politica del film.

Nicchiarelli riesce a costruire alcune sequenze di grande effetto. Prima tra tutte il viaggio in America di Eleanor (Romola Garai) e l’amato Edward (Patrick Kennedy).

Qui il connubio tra la musica punk dei Downtown boys ed il rapido montaggio, che si avvale anche di fermo immagini in bianco e nero che potrebbero essere benissimo foto d’epoca, funziona alla perfezione.

Il tentativo che attraversa tutto il film è quello di costruire un parallelismo tra le teorie enunciate dalla protagonista e la sua vita reale nella quale, in realtà, appare vittima del suo rapporto con Edward.

Proprio nella vicenda amorosa e privata la regista mette in campo alcune delle soluzioni più geniali del film.

L’esempio più lampante è la sequenza in cui i due recitano Ibsen.

All’inizio la coppia è ripresa frontalmente seduta su di un divano e lo scambio di battute porta lo spettatore a credere di assistere alla fine del loro amore. Poi, pian piano, mentre scosciano gli applausi, l’immagine si allarga rivelando che ciò a cui abbiamo assistito altro non è che la messa in scena di Casa di bambola.

Nicchiarelli, insomma, riesce a giocare con diversi linguaggi (teatrale e filmico) e con il concetto stesso di messa in scena riuscendo a creare un contesto metalinguistico in cui lo scarto creato dal movimento della macchina da presa da alla scena un senso diverso rispetto alla prima interpretazione.

Il concetto viene ripreso più volte durante il film.

Altrettanto esemplare, ad esempio, è il comizio che tiene Eleanor dinnanzi ad una folla di operai.

La sua appassionata descrizione della condizione della donna nella società socialista può anche essere tranquillamente letta come uno sfogo rispetto alla sua vicenda personale di donna “prigioniera” di un rapporto squilibrato dal quale non riesce a liberarsi e che, in fondo, la vede sottomessa all’uomo.

Susanna Nicchiarelli, insomma, cerca di costruire un film, chiaramente di parte, in cui emerga la contraddizione tra la teoria socialista e la reale condizione di Eleanor, una sorta di manifesto femminista in cui la protagonista diventi metafora dell’oppressione nei confronti della donna, tanto all’epoca quanto oggi.

Il problema di fondo è che, nonostante gli ottimi momenti, il parallelismo tra le due vicende non sempre regge.

Quando si tratta infatti di enunciare i principi socialisti la regista non trova il modo di dare ad essi una forma visiva e fa uso della rottura della quarta parete, con Eleanor che si rivolge direttamente allo spettatore, con risultati didattico retorici di dubbia efficacia.

Va anche detto, a parziale discolpa, che l’uso di questo “stratagemma” appare assai difficile dopo gli ottimi esempi forniti in tal senso da House of Cards, serie tv nella quale Kevin Spacey chiamava continuamente in causa lo spettatore con ben altri effetti.

Altrove, invece, il film compie degli scivoloni francamente imbarazzanti.

Per dirla altrimenti, Eleanor che balla e canta al ritmo di una canzone punk non si può proprio vedere, sebbene sia chiaro, anche in questo caso, l’intento metaforico e la volontà di rappresentare un urlo quasi primario rispetto alla sua situazione personale.

Infine, ciò che colpisce, è la stessa lettura politico/ideologica del film.

Anche in questo caso vale la pena citare una sequenza, quella nella quale la protagonista segue un bambino in una vera e propria discesa agli inferi nei luridi sobborghi industriali nei quali vivono come animali i proletari, sino a trovarsi dinnanzi il corpo martoriato e sanguinante della madre del ragazzo con tanto di neonato piangente, entrambi che giacciono su di un pagliericcio sporco in un ambiente malsano e sporco.

Eleanor si ferma a guardarli, quasi impotente, e la sequenza finisce senza che ci venga svelato il destino della povera donna.

Anche Miss Marx, spesso, da l’impressione di fermarsi sulla soglia a guardare, incapace non solo di conciliare le diverse anime che lo compongono ma anche di offrire un ritratto della sua protagonista che rimanga nella mente dello spettatore.

Alla fine sembra quasi di assistere ad un suntuoso film in costume su di una borghese in fondo incapace di tradurre veramente in azione il proprio pensiero.

Ci sarebbe molto altro da dire di questa babele stilistica che fa da contrappunto a quella linguistica (nel film si parla inglese, francese e tedesco), visto che tanti sono i temi messi in campo, compreso il rapporto con il padre.

Tuttavia, nonostante gli sforzi, le ottime sequenza, e l’ottima direzione degli attori, Miss Marx appare come un film incompiuto ed involuto.

Riecheggiano allora le parole di Dancing in the dark nella versione dei Downtown boys, “Non puoi accendere un fuoco senza scintilla”, una frase che sembra quasi racchiudere il problema principale di un film generoso ma che si dimentica dopo pochi attimi.

 

EMILIANO BAGLIO


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