Dogtooth. Con 11 anni di ritardo arriva nei cinema il capolavoro di Lanthimos, uno dei film più importanti del cinema contemporaneo.

di EMILIANO BAGLIO 27/08/2020 ARTE E SPETTACOLO
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In moltissime religioni Dio è colui che crea le cose pronunciandone il nome. Persino La Bibbia comincia dicendo “In principio era il verbo Il verbo era presso Dio e il verbo era Dio”.
Dogtooth si apre con una voce su di un nastro registrato che elenca le parole da imparare. L’autostrada è un forte vento, il mare un tipo di poltrona e più tardi la fica sarà una lampada, così come il testo di Strangers in the night cambierà di significato.

In questo caso il potere di dare un nome alle cose e dunque di creare il mondo è del Padre e della Madre. Ad imparare i nuovi nomi sono i tre figli; Figlia maggiore, figlia minore e figlio. Nessuno di loro ha un nome proprio, perché ciò significherebbe dare un’identità a questi individui facendoli diventare persone.
I tre figli vivono confinati nella villa dei genitori, potranno uscire ed affrontare i pericoli del mondo esterno solo quando il loro canino cadrà.
Se i genitori sono coloro che danno nome, e dunque forma al mondo, essi sono le divinità di questo microcosmo. L’intera percezione che hanno i tre ragazzi della realtà è filtrata attraverso ciò che gli viene narrato. La distorsione della realtà diviene il mezzo attraverso il quale controllare le persone. Così gli aerei saranno dei modellini che sorvolano il cielo e possono cadere di tanto in tanto in giardino ed il gatto un animale feroce che si ciba di neonati ed il mondo esterno un luogo feroce dove, al di là del muro di cinta, vive il loro fratello perduto.
I tre ragazzi vivono esattamente come nel mito della caverna di Platone. Ciò che vedono sono, in realtà, ombre, ma per loro quelle ombre sono il mondo reale.

La prima operazione che compie Yorgos Lanthimos in Dogtooth è trasformare il suo terzo lavoro in un saggio di filosofia del linguaggio ed in un’ovvia metafora.

Due anni prima, George A. Romero ne Le cronache dei morti viventi, aveva portato avanti un simile discorso.

Nel film di Romero la sovrabbondanza di informazioni impediva, proprio come accade oggi, di distinguere il vero dalle fake news ed il montaggio di un telegiornale diventava il mezzo attraverso il quale manipolare i fatti dandone una versione diversa.

Da un lato il montaggio come strumento attraverso il quale orientare le coscienze, dall’altra il linguaggio.

Il riferimento è chiaro, sono gli stessi mezzi che utilizza, da sempre, ogni dittatura. Intervenire sulla percezione della realtà distorcendola, impoverire ed inventare un nuovo linguaggio, trasformare la visione del mondo, ottundere le coscienze per poterle manovrare a proprio piacimento.
Dunque il microcosmo di Dogtooth può essere letto come la messa in scena dei meccanismi attraverso i quali agiscono da sempre dittatori, capipopolo e populisti di tutto il mondo.

Tuttavia, nel caso di Dogtooth, non possiamo neanche parlare di realtà distorta perché ai tre figli manca qualsiasi punto di riferimento esterno.

Sino a quando, come spesso accade nei film di Lanthimos, a turbare l’ordine costituito non arriva un elemento esterno con il ruolo di perturbante, esattamente come accadrà poi ne Il sacrificio del cervo sacro (http://www.euroroma.net/7016/ARTE%20E%20SPETTACOLO/il-sacrificio-del-cervo-sacro.html) e ne La favorita (http://www.euroroma.net/7462/arteespettacolo/la-favorita.html).

Stavolta l’estraneo è Christina, assunta dal padre per permettere al figlio maschio (ed ovviamente solo a lui) di sfogare i propri istinti sessuali.

Sarà proprio Christina a regalare, sempre in cambio di sesso, delle vhs alla figlia maggiore.

Torniamo dunque al mito della caverna di Platone la cui esperienza è stata spesso confrontata con la visione cinematografica.

Anche lo spettatore costretto al buio ed immobile non vede altro che ombre della realtà e solo grazie al principio di sospensione dell’incredulità le prende come reali immedesimandosi in esse.

Se dunque i tre ragazzi vivono la stessa esperienza degli uomini incatenati nella caverna la loro liberazione, ovviamente, non può che giungere da un altro surrogato della realtà: il cinema.

È questo il secondo tema introdotto dal regista nella sua opera.

Il cinema come strumento di libertà e presa di coscienza.

Non è un caso che ogni dittatura moderna si sia sempre preoccupata di fare propaganda e costruire la propria immagine fondante attraverso le immagini, siano esse quelle televisive o quelle cinematografiche.

Ciò che stupisce e svela, per l’ennesima volta, l’humor nerissimo che possiede Lanthimos, è che i film in questione non sono certo pellicole d’autore.

La scoperta del mondo per la sorella maggiore avviene tramite Lo squalo, Rambo e Flashdance del quale, durante un’esibizione surreale e straniante, ballerà la sequenza più celebre.

Attraverso queste immagini prende coscienza di un altra realtà tanto da darsi persino un nome, Bruce e dunque un’identità.
Gioverà ricordare, a questo punto, che Dogtooth è stato girato nel pieno della crisi greca.

Lanthimos dunque costruisce un’enorme metafora di come agiscano le dittature ed è impossibile non vedere nel suo film un chiaro riferimento a ciò che stava vivendo il suo paese nel lontano 2009.
Al tempo stesso il suo terzo lavoro è il tassello più importante di una filmografia che, come ogni autore che si rispetti, ruota sempre attorno agli stessi temi.

Lanthimos racconta sempre microcosmi con regole proprie.

Accade nel mondo di The lobster (http://www.euroroma.net/3927/ARTEESPETTACOLO/the-lobster-nel-futuro-232-vietato-essere-single.html) in cui è vietato essere single e che si struttura attorno a due opposti microcosmi, la foresta e la clinica.

Lo stesso dicasi per la famiglia de Il cervo sacro o la corte de La favorita.

Tuttavia, forse, il film più vicino a Dogtooth è Alps di due anni dopo.

In Alps, infatti, abbiamo una comune di “attori” che interpretano persone morte per aiutare familiari e conoscenti ad elaborare il lutto.

Ancora una volta siamo dinanzi ad una realtà distorta, anzi abbiamo a che fare con una vera e propria messa in scena della vita, una finzione.

Esattamente la stessa finzione che in Dogtooth è la chiave attraverso la quale prendere coscienza dell’esistenza di qualcosa d’altro, in un cortocircuito geniale.

Resta solo da vedere se tale presa di coscienza equivalga alla libertà.

Ma, come sempre, Lanthimos non offre risposte.

Sta a noi decidere, mentre rimaniamo attoniti col fiato letteralmente sospeso dinanzi ad un film che non dimenticheremo.

 

EMILIANO BAGLIO


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