Stay still.

L'immobilità come forma di resistenza e ribellione alle regole imposte dalla società.

di EMILIANO BAGLIO 13/07/2020 ARTE E SPETTACOLO
img

Disponibile su www.miocinema.it

 

Julie (Natalia Belitski) è una ricca ereditiera segnata da un’infanzia traumatica. Proprio per questo ha deciso di vivere la sua esistenza all’insegna dell’immobilità. Non fa nulla se non, saltuariamente, dare fuoco alle cose e sperperare il patrimonio di famiglia in spese folli.
Proprio per questo entra ed esce da una clinica psichiatrica nella quale, al suo ultimo ricovero, viene assegnata all’infermiera Agnes (Luisa-Céline Gaffron), una donna anch’essa problematica visto che, di fatto, non riesce ad accettare il suo ruolo di madre e non ha alcun tipo di rapporto con la figlia.

Stay still, esordio nella fiction per la documentarista Elisa Mishto, è la storia dell’incontro tra due forme diverse di (apparente) apatia vista come una sorta di resistenza passiva alle aspettative del mondo e nasce da un’idea avuta dalla regista durante la lavorazione di States of mind, documentario sulle istituzioni psichiatriche.

L’immobilità di Julie è dettata dal rifiuto di come è organizzata la società che, per la giovane ereditiera, assomiglia ad un formicaio in cui ognuno ha un ruolo preordinato dal quale non può sfuggire.

Agnes, per certi versi, è una sorta di possibile evoluzione di Julie, un’ipotesi di ciò che sarebbe potuta diventare la paziente se avesse accettato di provare ad inserirsi nel mondo.

Agnes lavora, è sposata ed ha una figlia ma si sente prigioniera, senza neanche saperlo, in ognuno di questi ruoli.

Inevitabilmente l’incontro tra le due, oltre alle abilità manipolatrici di Julie, porterà all’implosione delle rispettive esistenze.

 Attorno ai due personaggi principali si muove un’umanità altrettanto aliena, costituita principalmente da Katrin (Katharina Schüttler), succube della madre e da Rainer (Giuseppe Battiston), chiuso in un mutismo che, apparentemente sembrerebbe distante dalla realtà circostante ma, in realtà, attento osservatore di ciò che accade.

La scelta dell’immobilismo come forma di resistenza al mondo pervade anche la stessa struttura del film.

Stay still procede staticamente e lentamente per quadri gelidi e rarefatti, freddi e privi di emozioni, come se tutto accadesse meccanicamente, in una cinema asettico e distante.

Ogni tanto si apre a momenti pervasi da colori pop accompagnati dalla musica elettronica.

Insomma, a dirla così, sembra un catalogo di cose già viste.

Da una parte l’influenza di un certo cinema d’autore (Haneke e Lanthimos in testa), dall’altra la deriva colorata e pop con un’estetica a metà tra videoclip e pubblicità a metà strada tra l’ultimo Refn e l’ultimo Korine.

Persino l’evolvere della storia sembra quanto di più banale si possa immaginare con l’inevitabile incontro tra le due donne che sfocia nell’amore.

Eppure Stay still possiede un suo fascino inspiegabile che risiede proprio nel suo apparire così freddo, gelido e distaccato.

Insomma, sebbene le influenze siano chiare e dichiarate, Elisa Mishto riesce a governarle bene riuscendo a restituirci un senso di alienazione e distanza dalla stessa materia raccontata che sono quasi il contraltare visivo di questa ribellione immobile.

Stay still assomiglia al mutismo del bravissimo Battiston che appare lontano dalla realtà e al tempo stesso, nel suo mutismo che ha il sapore dell’innocenza più che dell’alienazione, è l’unico capace di capire ciò che accade e di comprenderlo con un senso di umanità e di pietas completamente estranea agli altri.

 

EMILIANO BAGLIO


Tags:




Ti potrebbero interessare

Speciali