Nel DL Rilancio prorogate le concessioni balneari. Bruxelles "Rivedere la norma".

di redazione 10/07/2020 ECONOMIA E WELFARE
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Proseguiamo la discussione con le autorità italiane" sulle concessioni ai balneari, "sia a livello tecnico che ad alto livello politico. La discussione è in corso proprio ora, perciò seguiamo da vicino la situazione per risolverla al più presto e affinché la legge italiana sia conforme al diritto dell'Ue". Così una portavoce della Commissione Ue ad una domanda sull'estensione delle concessioni per gli stabilimenti balneari fino al 2033.

La commissione Bilancio della Camera ha approvato infatti un emendamento dei relatori al dl Rilancio, che stoppa la proroga al 2033 delle concessioni demaniali per chi svolge queste attività in prossimità di laghi o fiumi.

La modifica, ricorda la scheda di sintesi al provvedimento dei tecnici della Camera, congela “i procedimenti amministrativi per la devoluzione delle opere non amovibili, per il rilascio o l’assegnazione, con pubblica evidenza, delle aree oggetto di concessione demaniale marittima salvo il caso di revoca della concessione oppure della decadenza del titolo per fatto e colpa del concessionario diverso dal mancato pagamento dei canoni”. E ancora “estende anche alle concessione del demanio fluviale e lacuale il termine di durata di quindici anni delle concessioni demaniali. Allo stesso modo sono prorogate le concessioni per la realizzazione e la gestione, a cura di società sportive, di strutture dedicate alla nautica da diporto, inclusi i punti di ormeggio”.

Sostanzialmente, nella sua versione originale, il decreto intendeva estendere la proroga per 15 anni, già prevista dalla legge di Bilancio per chi ha concessioni demaniali marittime anche a chi, appunto, esercita tale attività in contesti ‘lacuali e fluviali’. La Ragioneria dello Stato però, nella lettera inviata alla commissione, ha espresso una “fortissima perplessità” in merito, ricordando come la Commissione Europea abbia già dato il via ad una procedura di pre-infrazione riguardo a quanto già previsto dalla legge di Bilancio 2019 sugli stabilimenti balneari.

I tecnici dello Stato, inoltre, hanno rilevato come un altro comma dell’emendamento, avrebbe consentito di continuare a utilizzare i beni del demanio marittimo anche da parte di concessionari non in regola con il pagamento del canone. Da qui il nuovo emendamento dei relatori che affossa l’estensione del rinnovo alle attività su fiumi e laghi; la sanatoria che prevedeva la sospensione per tutto il 2020 dei contenziosi riguardanti i beni demaniali marittimi e infine l’adeguamento dei canoni per le concessioni marittime, prevista in precedenza nel decreto legge.

LA SITUAZIONE


Gli stabilimenti balneari occupano spiagge e tratti di costa che sono parte del demanio pubblico: una proprietà dello Stato che non può essere venduta ma soltanto data in concessione, cioè in affitto. Non si conosce con certezza il numero di imprese balneari italiane e il numero di addetti che ci lavorano, ma i dati diffusi dalle stesse associazioni di categoria parlano di 30 mila imprese e circa 100 mila addetti. Da decenni le concessioni sono date dallo Stato in cambio di canoni molto bassi se non simbolici (pochi euro al metro quadro) e vengono di fatto rinnovate automaticamente quando scadono, a condizioni che variano di poco, a prescindere dalla qualità del servizio offerto ai cittadini. Questo sistema disfunzionale è stato spesso criticato ma i tentativi di riformarlo sono tutti falliti, a causa dell’opposizione di quasi tutti i partiti presenti in Parlamento.

Nel 2006, con l’approvazione della “direttiva Bolkenstein” da parte della Commissione Europea, questa situazione sarebbe dovuta cambiare. La direttiva, che aveva lo scopo di rendere più equo il mercato dell’Unione Europea, stabiliva tra le altre cose che servizi e concessioni pubbliche dovessero essere affidati ai privati tramite gare con regole equilibrate e pubblicità internazionale, così da ottenere per lo Stato maggiori guadagni e per i cittadini migliori servizi, senza creare rendite di posizione. Uno degli effetti della direttiva sarebbe quindi stato la messa a gara delle concessioni demaniali.

Da quando è stata approvata la “direttiva Bolkenstein”, tuttavia, l’Italia ha sempre trovato dei modi per non applicarla, sostenendo che i suoi effetti fossero troppo ampi e che nel caso delle concessioni balneari avrebbero danneggiato ingiustamente molte imprese, favorendo grandi gruppi internazionali a scapito di piccole aziende a gestione familiare. Dopo che per anni gli effetti della direttiva erano stati prorogati a breve termine, nel 2018 era stata decisa una proroga di 15 anni, fino al 2033, con la motivazione di dare maggiore stabilità e sicurezza alle imprese del settore.


Secondo le associazioni di categoria degli stabilimenti balneari, la proroga approvata nel 2018 non era abbastanza, perché lasciava ancora alcune possibilità alle amministrazioni locali di rimettere a gara le concessioni, togliendole a chi le aveva, ed era in parte stata disattesa. Anche per questa ragione, e con la motivazione della crisi economica provocata dal lockdown, la deputata di Forza Italia Deborah Bergamini ha proposto un emendamento al “decreto rilancio” che ha rafforzato i termini della proroga al 2033. L’emendamento, sostenuto dal Sindacato Italiano Balneari, riguarda questioni un po’ specifiche della gestione delle concessioni, ma di fatto sancisce che per i prossimi 13 anni lo Stato non potrà fare gare o riassegnare le concessioni e che i canoni di affitto dovranno rimanere quelli attuali.

L’emendamento è stato approvato all’unanimità dalla commissione Bilancio della Camera il 7 luglio e diventerà effettivo quando il “decreto rilancio” sarà convertito in legge dal Parlamento, cosa che dovrà avvenire entro il 18 luglio. È di fatto escluso che venga modificato, perché il governo metterà probabilmente la fiducia sulla conversione in legge del decreto.


Carlo Calenda, con un video pubblicato su Twitter, il 5 luglio, ha molto criticato l’approvazione dell’emendamento, sostenendo che abbia «rimandato le gare per le concessioni degli stabilimenti balneari fino al 2033» e che le attuali regole siano molto sfavorevoli per lo Stato. Calenda ha detto che da tutte le concessioni balneari lo Stato riceva circa 100 milioni di euro all’anno, e ha fatto alcuni esempi che secondo lui dimostrano la sproporzione tra i canoni pagati allo stato e i guadagni degli stabilimenti balneari.

«Lo stabilimento più vip di Capalbio», ha detto, «paga 4.500 euro l’anno di canone. Credo che un ombrellone per la stagione ne costi 3.000, quindi più o meno con un ombrellone si rifà di tutto il costo della concessione annuale». In un altro messaggio su Twitter indirizzato a Bergamini ha scritto: «Vorrei sapere se ti sembra normale che il Twinga (4 mil fatturato) paghi 17.000 euro l’anno, il Papeete (3 milioni fatturato) 10.000».



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