L'uomo invisibile. Un solido film di genere che affronta le conseguenze psicologiche della violenza sulle donne.

di EMILIANO BAGLIO 24/04/2020 ARTE E SPETTACOLO
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Inizialmente la nuova versione de L’uomo invisibile nasce come facente parte del Dark universe, progetto di rilancio dei vari mostri della casa di produzione Universal miseramente fallito dopo i flop di Dracula untold (2014) e La mummia (2017).

È a questo punto che entra in gioco Jason Blum, novello Re Mida di Hollywood e responsabile (tra gli altri) dei cicli di Paranormal activity, Insidious e The purge, oltre che della rinascita di registi come Shyamalan con i titoli The visit http://www.euroroma.net/4079/ARTEESPETTACOLO/the-visit-impossibile-sfuggire-alla-paura.html Split e Glass http://www.euroroma.net/7419/ARTE%20E%20SPETTACOLO/glass.html, produttore di film quali Whiplash ed infine scopritore di promesse quali Jordan Peele.

Nelle sue mani il film cambia pelle e da potenziale blockbuster con Johnny Deep probabile protagonista si trasforma in una pellicola dal budget ridotto.

Alla regia viene chiamato Leigh Whannel, già sceneggiatore di vari capitoli di Saw e soprattutto regista dell’interessante Upgrade (2018).

Il più grande problema che i due debbono affrontare è come non rendere ridicolo un film in cui il cattivo è appunto invisibile.

Ed è qui che si vede la mano sicura di Whannel capace di dar vita ad una pellicola in cui, continuamente, si avverte la presenza di una minaccia che non possiamo vedere.

Merito di una solida regia capace di riesumare la cara vecchia suspense.

Merito, anche e soprattutto di una Elisabeth Moss (la protagonista di The handmaid’s tale) che da vita ad una interpretazione straordinaria.

Su questa solida base si innesta il tema che attraversa tutto il film.

Cecilia (la protagonista della vicenda) è in fuga dalla magione del ricchissimo ingegnere Adrian Griffith, un uomo che l’ha di fatto intrappolata (letteralmente) in una relazione nella quale la donna è vittima di continui abusi fisici e psicologici.

Quando Adrian muore la paranoia di cui è succube Cecilia sembra prendere vita nella continua minaccia di una presenza della quale solo lei sembra accorgersi.

Come già in Unsane http://www.euroroma.net/7018/ARTEESPETTACOLO/unsane-steven-soderbergh-esplora-il-confine-tra-giallo-e-horror.html di Steven Soderbergh, L’uomo invisibile si trasforma così in un’opera che affronta di petto la questione della violenza sulle donne.

L’invisibilità si trasforma nella metafora della sudditanza psicologica nella quale si trovano troppe donne vittime di rapporti violenti, criminali e malati.

Il pericolo che Cecilia percepisce, almeno apparentemente, è tutto nella sua testa; la donna sembra continuare ad essere prigioniera di quel rapporto malato e di quella prigione dalla quale, almeno psicologicamente, non è mai fuggita.

Ma se il pericolo non si vede, la naturale conseguenza è che nessuno crede a Cecilia.

Come troppo spesso accade nella realtà, la donna si ritrova a combattere da sola contro un pericolo che nessuno prende sul serio, continua ad essere vittima, prima del suo aguzzino e poi di un sistema che piuttosto che darle ascolto trova più comodo bollarla come pazza.

Purtroppo, non tutta la pellicola regge lo straordinario stato di tensione metaforico che ne è l’assunto portante e, soprattutto nella parte centrale, rischia di trasformarsi in un poco credibile film action nel quale l’antagonista assomiglia troppo ad un mostro invincibile dotato di poteri sovraumani.

Per fortuna L’uomo invisibile si risolleva grazie ad un finale cattivissimo in cui, finalmente, la vittima, sfruttando i mezzi stessi del sistema, si trasforma in carnefice.

Invece di soccombere al destino Cecilia decide di utilizzare gli stessi strumenti con i quali la società continua ad opprimerla piegandoli alle sue esigenze e procedendo, in totale autonomia e libertà, alla sua liberazione ed autodeterminazione diventando la protagonista del suo futuro.

 

EMILIANO BAGLIO

 


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