Associazione Amici di Roberto Morrione. " Come l'informazione e la magistratura possono contrastare le mafie"

di Filippo Piccione 07/12/2019 CULTURA E SOCIETÀ
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Il 2 dicembre l’Associazione Amici di Roberto Morrione ha promosso un incontro al quale hanno partecipato Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera Associazioni Nomi e Numeri e Federica Angeli, giornalista di Repubblica, costretta anche lei a vivere sotto scorta per le sue inchieste sulla criminalità a Ostia. 

Sullo sfondo le notizie di questi giorni che hanno visto scendere in piazza migliaia di persone per chiedere le dimissioni del premier Josef Muscat, dopo l’arresto dell’imprenditore Jorgen Fench, sospettato di essere il mandante dell’omicidio della giornalista maltese, Daphne Carnauta Galizia fatta saltare in aria da un’autobomba nel 2017 .

Per Don Ciotti l’informazione è uno dei pilastri della democrazia. C’è una funzione sociale e civile del giornalismo che racconta i fatti al servizio della collettività. Ma per svolgere questa professione è necessario essere persone attente e credibili, cercatori di verità, capaci di prendere le distanze da giochi di potere e di interesse.

Da parte sua, Federica Angeli ha lamentato “che la vocazione del giornalismo è andata via via perdendosi, addormentandosi, perché siamo sommersi da un flusso di notizie e di comunicati stampa che finiscono per penalizzare gli approfondimenti indispensabili che invece si potrebbero ricavare da ogni storia”.

Nonostante le manchi la libertà (la giornalista è madre di tre figli e da sei anni vive sotto scorta) e la possibilità di condurre inchieste pericolose e scottanti come un tempo, di respirare la realtà, di cogliere ogni gesto e segnale di comunicazione non verbale, Federica sostiene di riuscire a fare altro con la stessa determinazione e passione “anche se è come lavorare con il freno a mano”.   

Entrambi gli interlocutori sono dell’avviso che in questi anni le mafie sono più flessibili, più reticolari, più internazionali e più estese a livello territoriale. “Le nostre mafie pagano consulenti che si prestano ad azioni illecite nell’alta finanza, nel riciclaggio di denaro, nell’attività imprenditoriale. “Oggi dobbiamo avere uno sguardo più ampio perché le nostre mafie le troviamo ovunque in Europa, ha spiegato il fondatore di Libera Associazioni Nomi e Numeri”.

E a Roma? Esiste una mafia autoctona nella Capitale?

La giornalista di Repubblica non ha dubbi su questo punto: “il primo regalo che si può fare alla mafia romana, anche come giornalisti, è dire che non esiste”.

Con riferimento ai comportamenti di note famiglie e di personaggi coinvolti in processi che hanno avuto spesso esiti controversi, in particolare la sentenza della Cassazione su Mafia Capitale, che non ha condannato Buzzi e Carminati per il reato di associazione mafiosa, è venuto fuori che oggi le mafie si comportano diversamente dal passato. E ritornando ancora sulla vicenda di Buzzi e Carminati, la giornalista ha voluto soltanto evidenziare che ai due bastava promettere soldi al telefono.         

La sua idea è che l’opinione pubblica “ha il dovere di staccarsi dalla sacralità del timbro della magistratura”, senza con questo togliere nulla all’autorevolezza dei giudici. “Vincere, dal punto di vista del giornalismo, non è ottenere una sentenza di condanna come pensavamo una volta ma lasciare un segno nelle coscienze. Conta quel noi, finalizzato a dire: queste persone non sono invincibili”.

Sulla base di quanto appena detto, fa riflettere il fatto che a Buzzi e a Carminati bastava promettere soldi al telefono per non essere accusati di appartenere a una associazione di stampo mafioso.

Suona strano che la Corte d’appello chiamata a pronunciarsi sulla libertà di Buzzi dopo la sentenza della Cassazione abbia respinto la richiesta di scarcerazione dei difensori del ras delle cooperative: “per pericolo di reiterazione di delitti della stessa specie, perché lo stesso potrebbe sfruttare ancora la sua rete di rapporti illeciti e la sua comprovata capacità di penetrazione corruttiva all’interno di quei settori della politica locale permeabile a tali proposte”.

Essendo la corruzione un tipico reato bilaterale è lecito pensare che all’interno della nuova classe politica capitolina ci siano ancora persone disposte a corrompersi.

Sull’intreccio della malavita organizzata e la corruzione ci sarebbe molto da dire. E al mondo dell’informazione, della magistratura, delle istituzioni e della politica non mancano le occasioni per riflettere su come meglio contrastarlo.   

 

    


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