Nave Mare Ionio. I migranti sbarcano su decisione della Capitaneria. Il Viminale si oppone e la Guardia di finanza multa l'Ong

di redazione 03/09/2019 CULTURA E SOCIETÀ
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 "Abbiamo ripristinato la legge del mare anche in Italia: i naufraghi non possono stare in mare", il capo missione di Mediterranea, Luca Casarini è in lacrime. Dopo una notte drammatica passata al Vhf di bordo, dopo due relazioni mediche inviate dalle autorità sulle condizioni psicologiche dei 31 naufraghi, la Capitaneria di Porto ha annunciato che sbarcherà tutti.

La gioia, sulla plancia di comando del rimorchiatore, esplode rumorosa intorno quando, a metà mattina, da Roma arrivano le prime notizie ufficiose. "La logica e il buon senso - commenta Cecilia Strada - sono state più forti di ogni decreto e di ogni delirio sovranista". Decisiva la relazione degli ispettori Usmef (l'Ufficio della sanità marittima) effettuata tre giorni fa.

Nella notte è la stessa Mediterranea Saving Humans ad annunciare di essere stata denunciata per la violazione del decreto sicurezza bis. "Abbiamo fatto ingresso in acque territoriali" con la nave Mare Jonio "con l'autorizzazione formale della Guardia Costiera. Adesso ci contestano la violazione del Decreto Sicurezza Bis. È l'ultima vendetta di chi non tollera che l'umanità prevalga".

 


Dopo aver chiesto e ottenuto dalla Capitaneria di porto il permesso di entrare in acque italiane, infatti, i volontari di Mediterranea, mentre si avvicinavano al punto di fonda a loro assegnato, hanno trovato due militari delle Fiamme Gialle (inviati dal ministero dell’Interno) pronti a contestare loro la violazione del decreto Salvini.

In particolare, nel documento era contenuta una multa di 300 mila euro (il massimo previsto è di un milione) e il provvedimento di sequestro cautelativo dell’imbarcazione, in vista di una eventuale confisca.

Nei giorni precedenti, la Guardia Costiera - nel rifiutare l’assegnazione di un porto sicuro alla Mare Jonio - si era nascosta dietro il Viminale, indicando in particolare, tra le figure coinvolte nella decisione, anche il Capo di Gabinetto del ministero dell’Interno, e trasmettendo in copia il documento alla procura di Agrigento.

In mattinata i volontari si erano rivolti al Tar contro il provvedimento di divieto di ingresso nelle acque territoriali. Quando è venuta a cadere l'urgenza perché la Capitaneria di Porto aveva evacuato la nave, e dunque erano caduti i presupposti del decreto Salvini, il giudice amministrativo ha rinviato l'udienza al 24 settembre.

La decisione della Capitaneria era l'esito più naturale - anche se nient'affatto scontato - di quanto accaduto nelle ultime 24 ore. Un'intera giornata culminata con la proclamazione di uno sciopero della fame da parte dei naufraghi. "Siamo pronti a morire - avevano detto - piuttosto che continuare in questo modo".

La notte precedente era stata funestata da una piccola burrasca. Vento fortissimo (fino a 25 nodi), mare e pioggia, con fulmini e tuoni. Condizioni proibitive che avevano sorpreso i naufraghi mentre si preparavano per dormire.

La burrasca ha avuto un evidente impatto di natura psicologica sulle persone nel container che, come noto, sono state salvate, meno di una settimana fa, da un naufragio nel quale hanno visto morire sei compagni di viaggio. La reazione del gruppo era stata immediata: terrore allo stato puro. Si sono chiusi nel container in preda a una crisi di panico collettiva

Pochi minuti dopo, il capo missione Casarini aveva contattato le autorità competenti (il Cirm, Centro internazionale radio medico e la Capitaneria di Porto) chiedendo l'evacuazione immediata dei naufraghi per motivi sanitari. Ma la richiesta si era infranta contro il muro di gomma della burocrazia. Essere reduci da un naufragio - era la teoria - non è un motivo sufficiente per chiedere l'evacuazione da una nave soccorso finita in un'altra bufera.

Eloquente e finale il silenzio seguito all'ultima protesta di Casarini: "Ma scusi se queste persone invece che da un gommone le avessimo raccolte dal naufragio di una nave da crociera ce le lasceresti qui?".

Visto l'ennesimo rifiuto di collaborazione da parte delle autorità, Mediterranea è stata costretta a passare alle vie legali. E ha fatto partire una mail, indirizzata alle medesime autorità e, per conoscenza, alla Procura della Repubblica: "Il grave deterioramento delle condizioni sanitarie a bordo è tale da non poter più essere gestito in maniera adeguata ed efficace dal personale sanitario presente a bordo della Mare Jonio, data l'insufficienza di contesto e di strumenti.

Per tali ragioni si ritiene rilevante comunicare alle autorità interpellate la necessità di un intervento complessivo e - di conseguenza - la sopravvenuta corresponsabilità in relazione a ciò che sta accadendo e potrebbe accadere


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