The nest. Il nido. Un ottimo esordio gotico che purtroppo si sgretola miseramente nel finale.

di EMILIANO BAGLIO 22/08/2019 ARTE E SPETTACOLO
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Samuel (Justin Korovkin), è un ragazzino costretto sulla sedia a rotelle che vive da sempre (rin)chiuso nella Villa dei laghi. Accanto a lui c’è sua madre Elena (Francesca Cavallin), un medico (Maurizio Lombardi) e tutti gli altri componenti di questa famiglia/comunità. Tutti sembrano volerlo proteggere dal mondo esterno, che rappresenta un non meglio specificato pericolo, soffocandolo con un amore morboso, rigide regole e punizioni atte a mantenere l’ordine all’interno di questo microcosmo chiuso del quale il ragazzo sembra essere il centro, adorato quasi fosse un semidio, un demone o una speranza per l’umanità a seconda delle ipotesi dello spettatore.

Fin quando dal mondo esterno non arriverà la giovane Denise (Ginevra Francesconi) a rompere il delicato equilibrio.

 

Roberto De Feo, al suo esordio nel lungometraggio, costruisce un film gotico vecchio stile in cui a farla da padrone è la minuziosa descrizione di un'atmosfera plumbea e malata, carica di inconfessabili segreti.

Tutta l’attenzione dell’autore è concentrata nel tratteggiare questa micro comunità che vive reclusa dal mondo esterno e che si regge su una serie di rigide regole.

A dirigere il gioco c’è Elena a cui tutti sembrano dovere qualcosa senza che mai sia chiaro in cosa consista questo debito di gratitudine.

Ne viene fuori un film fatto di suggestioni ed interrogativi.

Perché tutti sembrano quasi soggiogati dalla figura di Samuel e perché è così importante preservarlo e proteggerlo dal mondo esterno?

Quali sono i segreti ed i rapporti che legano queste persone che, volontariamente, accettano la dittatura di Elena mettendo in atto quella che sempre più appare come una messa in scena.

E a beneficio di chi o cosa va avanti questa sceneggiata?

Perché queste persone accettano orribili punizioni, compreso l’elettroshock pur di non fare menzione di ciò che li attende fuori?

The nest – Il nido accumula interrogativi su interrogativi e finché si limita ad avvolgere lo spettatore entro le mura di questo incubo gotico abitato da personaggi ambigui con tratti folli tutto procede per il meglio.

Ma come ci ha ben insegnato il cinema, ogni microcosmo è destinato ad implodere fatalmente appena entri in contatto con un estraneo, che ancora una volta è l’elemento perturbante che porta il caos e per di più, in quanto donna, una ventata di desiderio ed eros incarnati mirabilmente dalla scena della danza di Denise, un sequenza che gronda di sensualità peccaminosa da novella lolita ai limiti dello scandaloso visto il corpo così giovane dell’attrice.

Il problema vero e proprio nasce nel momento in cui a De Feo tocca trovare una risposta al gioco messo in scena sino a quel momento.

Ed è qui che il film si affloscia inesorabilmente come un soufflé venuto male.

Quando, infatti, giunge, il momento di tirare le fila lo sguardo si sposta dal dentro (la casa) al fuori.

Il risultato è che tutto va a rotoli.

Il possibile discorso meta cinematografico di un opera costruita come una myse en abyme in cui il film è la rappresentazione di una ulteriore messa in scena (in senso letterale e metaforico) viene abbandonato, così come la possibile lettura politica del tutto con questa comunità autoesclusasi dal mondo esterno e dalla modernità in nome di una (quasi) volontà di purezza.

Quel che è peggio è che anche molti degli interrogativi posti dal film rimangono insoluti primo tra tutti quello riguardante la reale entità della malattia di Samuel.

Ora che fuori dalla villa le cose non andassero proprio per il verso migliore è ovvio a qualsiasi spettatore da almeno metà del primo tempo.

Ci si attenderebbe quindi una rivelazione rispetto a ciò che sino a quel momento è accaduto dentro quelle mura, mentre invece ci viene offerto un finale a sorpresa che non sorprende neanche un po’ e che lascia l’amaro in bocca per l’occasione sprecata e che fa sembrare The nest un banale b-movie come tanti.

Peccato.

 

EMILIANO BAGLIO


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