Creed II. L'addio di Rocky al cinema.
“È il tuo momento”. Con queste parole Rocky (Sylvester Stallone) rifiuta di salire sul palco (ovvero il ring) insieme ad Adonis Creed (Michael B. Jordan) per festeggiare la sua vittoria.
Rimane in disparte, da solo, seduto su una sedia, dietro le quinte.
Esattamente lo stesso luogo dal quale proviene nella prima scena in cui compare.
Immobile in piedi in ombra, lo spettatore neanche lo nota; sente prima la sua voce e quando finalmente compare lo vediamo solo riflesso in uno specchio, una scena di estrema finezza simbolica e metaforica che crediamo sia frutto della penna di Sly.
Se dobbiamo fare fede a quanto dichiarato dall’attore, regista e sceneggiatore italoamericano Creed II potrebbe essere l’ultima volta in cui vediamo uno dei pugili più famosi della storia del cinema sul grande schermo.
Il che vuol dire che questo film è un po’ l’addio al personaggio e al tempo stesso la fine di questa nuova saga nata come spin-off.
Perché sì, potrebbero esserci altri capitoli di Creed, ma senza Rocky chi li andrebbe a vedere?
In fondo, sin dall’inizio, l’intero progetto è stato letteralmente cannibalizzato da Stallone il quale, chiamato per fare una piccola parte, si è preso tutto e, nel primo capitolo, si è pure scritto un monologo fatto apposta per cercare di conquistare quell’Oscar ingiustamente negatogli sin’ora.
Adonis non è mai stato il protagonista del film che porta il suo cognome. Ed anche questa volta è così.
Però, piccola sorpresa, neanche Rocky stavolta è al centro della scena.
Rimane per lo più in disparte, si è già ritirato dalla scena ha detto addio a tutti e guarda sornione.
Forse, proprio per questo, Creed II chiude i conti col passato, fa finta che il bellissimo Rocky Balboa del 2006 non sia mai esistito e si ricollega direttamente a Rocky IV (1985).
Quindi, stavolta i protagonisti sono due, Ivan Drago (Dolph Lundgren) e suo figlio Viktor (Florian Munteanu).
In una sorta di rovesciamento delle parti sono loro ad incarnare le caratteristiche che possedeva il primo Rocky.
In particolar modo Ivan, che dopo la sconfitta del 1985, è stato abbandonato dalla moglie e dalla madre patria Russia ed ora si ritrova a vivere (di stenti o quasi) esule in Ucraina.
Stallone, da par suo, scrive ancora una volta una sceneggiatura perfetta in cui, come sempre, è il corpo a veicolare i sentimenti.
Viktor, infatti, è stato cresciuto a pane ed odio.
Lui e suo padre non parlano quasi mai e bisogna riconoscere che la performance di Lundgren è, da questo punto di vista spettacolare.
L’unico linguaggio che conoscono è quello della boxe.
Viktor viene svegliato con un pugno e poi via a correre con il padre dietro che lo tampina in automobile.
E saranno sempre i pugni l’unico modo per esprimere la rabbia quando Viktor si ritroverà ad una cena elegante, tra gli alti papaveri russi, con di fronte quella madre che lo ha abbandonato anni prima (Brigitte Nielsen in una particina).
Non a caso, dinnanzi all’inevitabile sconfitta, sarà sempre un gesto fisico (gettare la spugna) a segnare la riconciliazione tra padre e figlio, la riscoperta da parte di Ivan dei suoi sentimenti d’amore verso Viktor, la fine dell’odio.
E a sottolineare questa riconciliazione sarà ancora una volta il corpo, quando finalmente alla fine vedremo i due correre l’uno accanto all’altro.
Lo stesso vale per Adonis, quando sconfitto e ferito riuscirà ad esprimere la sua rabbia e a trovare il motivo per andare avanti prendendo a cazzotti il sacco d’allenamento.
Il cinema di Stallone, insomma, ancora una volta è un cinema in cui le emozioni, i sentimenti, l’evoluzione psicologica dei personaggi passa attraverso un linguaggio fisico più che verbale.
Adonis dovrà conoscere la sofferenza, crollare esanime per terra in mezzo al deserto, prendersi pesantissime palle in pieno stomaco e sfinirsi fisicamente per risalire la china.
Ma come detto, stavolta il proletario che deve dimostrare di non essere un buono a nulla non è lui, il reietto che deve realizzarsi è Ivan.
Ancora una volta Stallone ci ha tirato un brutto scherzo, si è nuovamente impadronito del film ed al centro ci ha messo un nuovo anti eroe. Che però non è quello che da il titolo al film.
Poi c’è tempo solo per calare il sipario, chi nella neve dell’Ucraina, chi riconciliandosi con quel figlio già visto in Rocky V, chi andando sulla tomba del padre Apollo.
E noi spettatori cresciuti con Stallone ed il suo Rocky torniamo a casa un po’ più tristi perché sappiamo che non vedremo più il nostro eroe.
EMILIANO BAGLIO