Glass

Un film interessante e denso, dal punto di vista teorico, penalizzato da una deludente resa visiva.

di Emiliano Baglio 19/01/2019 ARTE E SPETTACOLO
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Come tutti ricorderanno Split (2016) si chiudeva con il più classico dei colpi di scena tipici del cinema di Shyamalan, ovvero l’improvvisa apparizione di David Dunn (Bruce Willis), protagonista di Unbreakable (2000).

Quel finale non solo gettava un ponte tra i due film ma lasciava aperta la porta per un terzo capitolo.

Glass ha dunque innanzitutto il compito di portare a termine una trilogia che forse tale non è.

Bisognerebbe infatti sapere se già nel lontano 2000 il regista immaginava un’evoluzione degli eventi narrati nel primo lungometraggio o se tale idea gli sia venuta in mente solo mentre lavorava a Split.

Comunque stiano le cose i tre titoli, soprattutto i primi due, sono estremamente lontani e diversi tra loro.

Unbreakable, con svariati anni di anticipo, era, a suo modo, una storia di supereroi, mentre Split prendeva una strada diversa collocandosi più nell’ambito dei thriller.

Glass, deve trovare il modo di far convivere i due precedenti capitoli trovando una conclusione ma, in realtà, come vedremo, a sua volta prende una strada completamente diversa.

Il film inizia proprio là dove finiva Split con Dunn sulle tracce di Kevin Crumb (James McAvoy), il criminale affetto da disturbo dissociativo dell’identità il quale, alla fine del precedente capitolo, aveva fatto emergere la personalità de la Bestia.

Quando i due si scontrano vengono prontamente catturati dalla polizia e spediti in un manicomio dove è rinchiuso anche Mister Glass (Samuel L. Jackson), l’antagonista di Dunn visto in Unbreakable.

Ad attenderli nella struttura c’è la dottoressa Staple (Sarah Paulson) decisa a convincere i tre che non hanno superpoteri.

Intanto all’esterno Casey (Anya Taylor-Joy), l’unica sopravvissuta a Kevin, Joseph (Spencer Treat Carl), figlio di Dunn e la madre di Mister Glass, tentano di far rilasciare i tre pazienti.

Attorno a questa trama, arricchita di spezzoni provenienti dalle precedenti pellicole ed in particolare da scene inedite di Unbreakable, il regista costruisce un film altamente teorico.

Glass, come il primo capitolo, prende subito la forma di una riflessione sui supereroi ed al tempo stesso suona come un atto di accusa nei confronti dello sfruttamento commerciale dei fumetti operato dai cinecomics.

Shyamalan costruisce un vero e proprio atto di amore nei confronti dei supereroi di carta, arrivando ad ipotizzare che essi rappresentino l’ultima testimonianza scritta di una sorta di storia parallela non ufficiale in cui vengono svelate le potenzialità nascoste della razza umana.

Tuttavia l’anima del film sta altrove, come suggerisce il titolo stesso, ed è appannaggio di Mister Glass.

Man mano che la trama procede, con una serie continua di colpi di scena, non solo ci vengono svelati i veri intenti dei vari personaggi ma, allo stesso tempo, il film si trasforma in una riflessione meta cinematografica.

La chiave di lettura sta in una frase pronunciata proprio da Samuel L. Jackson, “Questa non è un’edizione limitata, mamma. Questa è un’origin story”.

Improvvisamente lo spettatore si trova catapultato in un’abile gioco di specchi. Non è un caso che le superfici riflettenti costellino tutto il film e che, alcune delle principali rivelazioni, vengano mostrate proprio attraverso degli specchi che diventano così un elemento fondamentale per la comprensione della storia.

Mister Glass può allora essere visto come un alter ego del regista, vero e proprio burattinaio che dietro le fila guida gli spettatori facendogli credere altro rispetto a ciò che realmente sta accadendo.

Mentre siamo convinti di aver capito tutto ecco che Shyamalan ci spiazza e ci sorprende, ci costringe a ritornare sui nostri passi e persino sui precedenti film rivelandoci nuovi punti di vista e particolari inediti che cambiano la storia.

Insomma, per dirla altrimenti, qui non siamo di fronte alla conclusione di una trilogia con il classico scontro finale, in realtà Glass è il punto di partenza di un nuovo universo, esattamente come quelli della Marvel e della DC Comics.

Il problema di fondo è che però, la riflessione portata avanti dal regista, il peso teorico del film, il suo giocare con i supereroi, con il cinema, con le nostre aspettative e persino con la propria filmografia, tutto ciò non è minimamente supportato da una pellicola all’altezza delle sue ambizioni.

Nonostante la bravura tecnica del regista ed alcuni momenti indimenticabili, Glass risulta un film insopportabilmente verboso e statico.

La stessa impressionante bravura di James McAvoy nell’interpretare le varie personalità (il consiglio è di vedere il film in versione originale), spesso appare come un riempitivo per guadagnare tempo sino a ridurre a macchiette le varie personalità.

Non mancano neanche momenti francamente ridicoli e la cura dimagrante (a livello di budget) imposta dalla Blumhouse si fa sentire così come si ha il sospetto che sia pesata la produzione e distribuzione della Buena Vista alias Walt Disney per quanto riguarda soprattutto le scene dei combattimenti, francamente deludenti.

Rimane l’impianto teorico, un cattivo magnificamente interpretato da Samuel L. Jackson e la prospettiva di nuovi inattesi sviluppi. Ma l’augurio sincero è che Shyamalan preferisca dedicarsi ad altri progetti.

 

EMILIANO BAGLIO


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