Fabrizio De Andre. Vent'anni fa la scomparsa del cantautore delle anime salve

di Massimo Lorito 10/01/2019 ARTE E SPETTACOLO
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Difficile scegliere un brano così come si fa solitamente con tutti quelli che si cimentano nella creazione di canzoni, perché le canzoni, le ballate, per molti, le poesie di Fabrizio De André sono al di sopra di ogni possibile classifica. Ognuna è un universo narrativo carico di senso, ognuna un pezzo di vita.

Difficile scegliere perché tutti gli album, 14, di Fabrizio De André testimoniano una straordinaria, e inusuale per l’Italia, ricerca musicale, artistica e umana, e stanno a significare quanto sia difficile per uno che fa il mestiere di “cantante” non ripetersi, non autocitarsi, non accontentarsi.

Mai umanamente e artisticamente Fabrizio De Andrè si è accontentato, mai si è sentito “arrivato” anche se avrebbe potuto tranquillamente vestire i panni della star, visto il suo smisurato talento artistico.

La “musica leggera” con De Andrè è diventata allo stesso tempo dura, “pesante”, colta, forbita, ricercata ma mai compiacente, mai autoindulgente. Le sue melodie, che tanto devono alle atmosfere francesi, a Brel, a Leo Ferrè, a George Brassens, e poi alla scuola americana, pur risuonando di un tono inconfondibile di epica e poesia, di dolce lievità e malinconia non stancano mai e in fin dei conti sono molto più vicine alla grande scuola melodica nostrana di quanto in apparenza possa sembrare.

De Andrè è stato un grandissimo per molte ragioni ma partendo dai “dati artistici” dal senso autentico di questo mestiere, prima di tutto si può dire che lo è stato perchè la sua musica è rimasta sempre fruibile, comprensibile senza però piegarsi mai alle regole dello show business.  

Crueza de Ma, con Mauro Pagani nel 1984 anticipava la world music di anni, La buona Novella del 1970 uno schiaffo al conformismo rivoluzionario o a quello religioso della fine dei Sessanta; Storia di un impiegato, che tante critiche gli portò, anche da quegli stessi movimenti rivoluzionari, rimane un rimarchevole modo alternativo di guardare alle turbolenze sociali e politiche di quegli anni.

Anime Salve con la collaborazione di Ivano Fossati, capolavoro assoluto, il suo testamento artistico in cui gli “ultimi”, i suoi amati personaggi, puttane, zingari, disoccupati, delinquenti, malfattori, disperati, persone reietti della società si illuminano di una luce pura stagliandosi sopra il nostro tempo e apparendo come le sole anime salve di società profane, consumistiche e vuote.

Colpisce a vent’anni dalla morte come il suo messaggio, la sua arte, il suo stile, che risulta ancora presente, vivo, coinvolga ancora tutti quelli che ambiscono a fare musica, a scrivere canzoni, senza distinzioni di generi e mode. Non è raro sentire dire da giovanissimi quanto siano riconoscenti alla sua musica. Si riconosce in lui una dignità e una forza espressiva al di sopra della media. Tutti i colleghi, da De Gregori a Guccini, dalla Pfm, con la cui insostituibile collaborazione ha realizzato i migliori album live della storia della musica italiana, da Ivano Fossati fino a Vasco Rossi ne attestano la grandezza, la capacità di sapere anticipare i tempi, l’intelligente osservazione della realtà, ma anche le sue molte timidezze e insicurezze.

La paura del palco e la paura di scrivere “cose” inadeguate, che a lungo lo hanno attanagliato impedendogli di esibirsi dal vivo, nascevano forse anche dalla sua consapevolezza istintiva di sentirsi responsabile, fino all’ultima virgola, di ciò che scriveva e realizzava. Sapeva De André quanto un ruolo pubblico come quello del musicista, dell’artista deve nutrirsi di responsabilità e coerenza. Sapeva che senza quella linfa la pena da scontare è rimanere intrappolati in un narcisismo vuoto e arido.

Tra i sui molti talenti va ricordato quello di riuscire a rielaborare con estrema naturalezza, temi, poetiche, ambientazioni differenti rispetto all’Italia ancora bigotta e conformista.

L’Antologia di Spoon River del suo meraviglioso Non al denaro non all’amore né al cielo del 1971 ne testimoniano  questa abilitàsublimata dall’inequivocabile sentire religioso della sua arte, oltre i confini letterari e la cultura imperante del nostro Paese.

Libertà, responsabilità, autocritica, bisogno di cambiare, di imboccare percorsi nuovi, confrontarsi con il mondo senza dichiarrsi soddisfatto una volta per tutte restano i tratti peculiari della sua arte e della sua figura, la figura di un intellettuale a 360 gradi, un pensatore eccelso che trovò nella forma canzone il linguaggio preferito, quello più congeniale alla condivisione dei più autentici sentimenti e bisogni dell’essere umano.

La vita vissuta con coerente responsabilità e sentita come un percorso dai tratti sacri lo ha probabilmente aiutato a superare i momenti bui della sua esistenza. Il sequestro in Sardegna assieme all’amata compagna e poi moglie Dori Ghezzi lo ha restituito, come solo i grandi sanno fare, in versi profondi e commossi di amore, dolore e perdono.

Di lui molti che lo hanno conosciuto e frequentato ne ricordano la grande capacità colloquiale, la curiosità, il desiderio di condivisione e il bisogno di imparare, o il grande amore per le cose semplici: una passeggiata, la natura, i vicoli della sua Genova, una ricetta, la pesca, la vita di tutti i giorni.

In questi vent’anni dalla sua morte nel nostro paese e nel mondo molte cose sono cambiate, o almeno così pare, molte sono peggiorate.

Il rispetto verso la vita umana, verso tutte le forme di vita e tutte le sue declinazioni a cui la sensibilità di Fabrizio De Andrè ci ha sempre riportato, ricordandoci quanto siamo fragili, resta forse il suo messaggio più profondo, da sommare al suo enorme genio artistico che molto avrebbe ancora saputo dare.

Il mondo della cultura e dello spettacolo non lo ha dimenticato, negli anni molte le iniziative per celebrarne l’arte e mantenerne viva la dovuta memoria. E così nei prossimi giorni, dai social alle iniziative editoriali.

Mai come in queste settimane un modo corretto per celebrarne la grandezza potrebbe essere quello di agire, tutti ciascuno nel proprio ruolo, con sentimento di responsabilità verso la vita, con massimo rispetto verso gli altri. Rispettando le altrui scelte e l’altrui libertà, scegliendo di provare a capire e non di giudicare.

Il prossimo 18 febbraio Faber, come il suo amico fraterno  Paolo Villaggio lo aveva rinominato, avrebbe compiuto 79 anni. A chi scrive, ma credo a molti, manca sapere cosa avrebbe detto o suonato o cantato di questo nostro tempo Fabrizio De Andrè.

Nelle sue ultime canzoni, forse, una risposta:

ti saluto dai paesi di domani

che sono visioni di anime contadine 
in volo per il mondo 
mille anni al mondo mille ancora 
che bell'inganno sei anima mia

e che grande questo tempo che solitudine 
che bella compagnia”

 

Anime salve 1996

 

“Coltivando tranquilla 
l'orribile varietà 
delle proprie superbie 
la maggioranza sta 
come una malattia 
come una sfortuna 
come un'anestesia 
come un'abitudine 
per chi viaggia in direzione ostinata e contraria

col suo marchio speciale di speciale disperazione 
e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi 
per consegnare alla morte una goccia di splendore 
di umanità, di verità”

Smisurata preghiera, 1996

 

 

 

 

 

 

 

 


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