Festa del cinema di Roma. In concorso: American animals.

Un film a metà tra action e documentario che si trasforma in una riflessione sulla diversa percezione della realtà che ognuno di noi ha.

di Emiliano Baglio 26/10/2018 ARTE E SPETTACOLO
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2003 Warren Lipka, Spencer Reinhard, Chas Allen ed Eric Borsuk decidono di rubare la collezione di libri rari custoditi nella biblioteca della Transylvania University.

A partire da questa incredibile vicenda vera Barry Layton ha costruito una pellicola che alterna la fiction con le interviste ai veri protagonisti della storia in un mix originale in cui il documentario si mescola con un avvincente trama action e noir.

Il regista ha costruito un lungometraggio che è, letteralmente, la messa in scena dei ricordi degli intervistati.
Mentre i protagonisti rievocano la vicenda le loro parole diventano immagini, spesso addirittura finendo le loro frasi.

Tuttavia, con l’avanzare della vicenda, le 4 versioni dei fatti cominciano a mostrare delle discrepanze. Ognuno finisce col raccontare secondo il proprio punto di vista e a seconda del ruolo avuto e di ciò di cui è direttamente a conoscenza tanto che rimarrà il dubbio se alcuni degli avvenimenti narrati dai rapinatori siano veramente avvenuti oppure no.

Proprio per questo Layton ci mostra più volte alcune scene, secondo le diverse versioni, tornando indietro e mettendo continuamente in discussione ciò che abbiamo visto in una sorta di piccolo Rashomon.
Ne viene fuori un film che si interroga sulla percezione che ognuno di noi ha della realtà, sulla verità, sulla memoria attraverso i mezzi propri del cinema, primo tra tutti il montaggio senza disdegnare momenti di (divertentissimo) metacinema come nella scelta dei soprannomi per la rapina ispirati a Le iene di Tarantino.

Il problema è che quando finalmente si arriva al dunque, a quello che dovrebbe essere il cuore del film, ovvero alla rapina in sé e per sé, il film perde il ritmo sostenuto che aveva avuto sino a quel punto, grazie anche ad una grandiosa colonna sonora, e qualcosa nel meccanismo si rompe ed il regista si perde in inutili lungaggini che allungano il brodo.

Così l’esperimento di riflessione sulla diversa visione che ognuno di noi ha di ciò che vive in prima persona finisce con l’avere il sapore di un’occasione parzialmente mancata. Un vero peccato.

 

EMILIANO BAGLIO


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