FESTA DEL CINEMA DI ROMA. Alice nella città. Panorama Italia: Go home A casa loro. Un coraggioso film di genere italiano realizzato con pochissimi soldi ma capace di camminare a testa alta.

di 18/10/2018 ARTE E SPETTACOLO
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Risulta molto difficile parlare di Go home – A casa loro, secondo film di Luna Gualano.

Alla base di tutto c’è l’idea geniale venuta in mente allo sceneggiatore Emiliano Rubbi mentre chiacchierava in auto con la regista.

La magnifica intuizione è la seguente; mentre è in corso una manifestazione di fascisti fuori da un centro di accoglienza per migranti scoppia un’epidemia zombi. Ad Enrico, uno straordinario Antonio Bannò, nome da appuntarsi, uno dei manifestanti, non resta che chiedere aiuto proprio a quegli emigranti, mentendo sulla sua reale identità visto che il centro appare come l’unico luogo sicuro.

Go home recupera dunque gli zombi utilizzati come metafora politica seguendo l’insegnamento di George A. Romero, vero nume tutelare di questa coraggiosa ed ardita operazione, tanto fedele alla tradizione del genere al punto che, grazie al cielo, i morti viventi non corrono ma si riappropriano della loro andatura lenta e barcollante.

La difficoltà del recensore sta nel separare il giudizio sul film in sé e per sé da quello che riguarda il modo in cui è stato prodotto e ciò che rappresenta nel nostro panorama cinematografico.

Go home è il frutto coraggioso di una produzione indipendente che, per avere una settimana in più di riprese, ha fatto ricorso al crowdfunding.

Oltre ai finanziamenti venuti dalla rete il film è stato portato avanti da Cocoon production e da Baburka factory (che si è occupata degli effetti speciali insieme alla regista).

Gli attori sono veri rifugiati coinvolti grazie al progetto Il ponte sullo schermo, il che fa sì che il film sia recitato principalmente in inglese ed arabo.

Il manifesto è stato disegnato da Zerocalcare e le location altro non sono che i centri sociali romani Strike ed Intifada.

Go home è dunque la prova vivente che in Italia si può fare cinema, per di più di genere, con pochi mezzi senza per questo rinunciare alla qualità.

Riteniamo che proprio la scarsità del budget sia la causa principale del maggior difetto del film, rappresentato da una sceneggiatura carente che non sfrutta a fondo l’intuizione che ne è alla base.

Anche la scarsa durata, anch’essa sicuramente figlia della necessità, non aiuta la pellicola ad avere il respiro che avrebbe meritato.

La vicenda si conclude infatti nel giro di un paio di giorni e, a parte qualche battuta geniale, non c’è il tempo per approfondire i personaggi e molte sequenze appaiono figlie dell’improvvisazione.

La nostra impressione è che i pochi soldi siano stati investiti nell’uso dei droni che hanno permesso ad esempio riprese dall’alto e soprattutto nella realizzazione degli effetti speciali.

Da questo punto di vista i fan del genere possono stare tranquilli, nonostante il budget risicato il make up degli zombi è perfetto, non mancano sequenze splatter con persone divorate vive ed il sangue, soprattutto nel finale, scorre copioso ed abbondante.

Rimane il rimpianto per il risultato complessivo avrebbe meritato sicuramente di più.

Prova ne è lo straordinario finale, che ovviamente non riveleremo, con quell’atto di miseranda meschinità, quello sguardo verso la libertà e l’ultima sorpresa che danno conto di una regista che sa il fatto suo.

Se pensiamo ad altri film sui morti viventi, realizzati con budget faraonici, la scelta fatta da Luna Gualano con una simile chiusura provoca in noi profondo rispetto ed ammirazione perché è proprio questo coraggio che mancava da troppo tempo ai film horror sugli zombi.

Go home come detto è un film penalizzato da una sceneggiatura pressoché inesistente e sarebbe scorretto sorvolare su di una simile lacuna.

Tuttavia l’opera di Gualano, insieme a titoli come Ride (http://www.euroroma.net/7108/ARTEESPETTACOLO/ride-una-scommessa-dal-punto-di-vista-produttivo-dal-punto-di-vista-tecnico-e-da-quello-dei-risultati-finali.html) di Jacopo Rondinelli o The end? L’inferno fuori di Daniele Misischia, anch’essi con i loro difetti, per quanto ci riguarda ci riempie di speranza per il futuro perché in Italia tra mille difficoltà vive un altro cinema, quello di genere.

Sta ora al pubblico dargli speranza.


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