Ready player one 3D. Un punto di svolta per la storia del cinema penalizzato da una trama non all'altezza

di Emiliano Baglio 08/04/2018 ARTE E SPETTACOLO
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Anno 2045, l’inquinamento e la sovrappopolazione hanno reso la terra praticamente invivibile. L’unica via di fuga alla realtà è OASIS, un universo virtuale di fatto infinito dove ognuno può essere e fare quel che vuole, creato da James Hallyday (Mark Rialance) insieme a Ogden Morrow (Simon Pegg).

Quando Hallyday muore, lascia all’interno di OASIS tre chiavi nascoste, legate ad altrettante sfide ed enigmi, che portano ad un easter egg. Chi lo troverà erediterà OASIS. Per vincere la gara Wade Watts (Tye Sheridan) ed i suoi amici dovranno però vedersela contro la multinazionale IOI guidata da Nolan Sorrento (Ben Mendelsohn).

 Per quanto ci riguarda ci sarà un prima ed un dopo Ready player one. Perché, molto semplicemente, il nuovo film di Spielberg fa letteralmente tabula rasa di quanto visto sin’ora ed indica il futuro (o un possibile futuro) del cinema, un’evoluzione in cui i computer ed il digitale la faranno da padroni aprendo ai registi strade sin’ora inconcepibili e permettendogli di fare veramente tutto e di tutto.

Infatti, sinché siamo dentro OASIS, quello che vediamo è assolutamente incredibile e difficile da rendere a parole. Bisogna essere lì, nella sala buia, dinanzi ad uno schermo gigante con un dolby da paura e possibilmente un 3D. Esserci per rimanere stupefatti ed elettrizzati mentre la mascella ci cade e la bocca rimane spalancata dallo stupore, mentre vorremmo gridare che sì, quello è il cinema che da sempre abbiamo sognato, per poi alzarci ed applaudire perché non si può non rimanere estasiati da tutto ciò.

Il mondo virtuale di OASIS è una girandola continua di citazioni, non solo degli anni ’80 ma che provengono da diversi media, dai fumetti, dai film, dai videogiochi, dalla musica e da tutto quello che potete immaginare.

Dentro questo mondo virtuale Spielberg ha messo tutto sé stesso, la sua storia e la sua cultura, senza citarsi mai.

Sono semmai i suoi collaboratori (Il gigante di ferro di Brad Bird), i suoi amici (Lucas per primo) ed i suoi maestri (Kubrick) ad essere presenti con omaggi che sfociano nella strabiliante sequenza in cui i nostri eroi si ritrovano all’interno dell’Overlook Hotel di Shining.

Il numero di rimandi e citazioni è praticamente infinita, basta farsi un giro su internet per vedere la spaventosa quantità di articoli che sembrano quasi una gara a chi ne scova di più.

Ma Ready player one non è solo una girandola di citazioni, è soprattutto un film nel quale la quantità di cose che accadono nelle singole sequenze è impressionate.

Spielberg satura le inquadrature sino all’impossibile, esempio perfetto è la gara automobilistica in cui succede di tutto e tutto assieme in una giostra vorticosa che procede come uno schiacciasassi riempiendo ogni immagine di personaggi, azioni e rimandi.

Ready player one è un film per il quale una visione non basta talmente è pieno zeppo sino all’inverosimile e all’eccesso di particolari che si susseguono a ritmo frenetico.

Che a realizzare una simile orgia sensoriale sia stato un signore di 71 anni è semplicemente sorprendente e stupefacente e non resta che levarsi il cappello e battere le mani perché qui abbiamo di fronte un genio ed un gigante.

Siamo dinanzi dunque ad una pietra miliare del cinema che ne segnerà per sempre la storia? Apparentemente sì, eppure c’è qualcosa in questo film che lascia l’amaro in bocca.

Perché alla fine tanta grandezza visiva è al servizio di una storia incredibilmente banale che riduce tutto ad una sorta di videogame a livelli con sfide sempre più difficili da affrontare e questo è l’unico grande limite, grosso come un macigno, che pesa sull’opera.

C’è un altro piccolo appunto che ci sentiamo di fare e riguarda il messaggio del film ed il modo in cui viene veicolato.

Il senso dell’ultima fatica di Spielberg è tutto nella sequenza di apertura in cui vediamo Wade che esce dalla roulotte dove vive e piano piano scende verso il basso. Il ragazzo infatti vive alle cataste, che altro non sono che una serie di roulotte fatiscenti impilate su fragili impalcature. Nella sua discesa si alternano gli interni delle singole abitazioni ed in ognuna di esse ci sono persone, sempre sole, intente a “vivere” nell’universo virtuale di OASIS. Per gran parte della pellicola tutte le relazioni umane si svolgono nel mondo virtuale. Gli amici del protagonista e persino Samantha (Olivia Cooke), la ragazza di cui si innamora, sono avatar di cui Wade ignora la vera entità. Da questo punto di vista Ready player one è un film tremendamente attuale che parla del nostro presente, in cui la vita reale è sempre più sostituita dal virtuale e dai social network. Un presente fatto di solitudini che si illudono di avere relazioni autentiche quando invece non è così. Questo “messaggio”, come detto, è chiaro sin dall’inizio e dispiace un po’ che Spielberg abbia sentito il bisogno di mostrarlo con un finale forse didascalico in cui un bacio tra Wade e Samantha ci ricorda che nulla è come la vita vera perché è l’unica reale.


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