Aldo Moro. Quarant'anni dall'attacco allo Stato. 16 marzo 1978. Via Fani a Roma. Sequestrato il presidente della Dc, massacrati 5 uomini della scorta

di redazione 16/03/2018 CULTURA E SOCIETÀ
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Quarant'anni fa l'attacco al cuore dello Stato delle Brigate Rosse, formazione rivoluzionaria e terroristica che insanguinò la politica e la vita civile per un decennio, compì il suo livello più alto e drammatico. Quelle settimane della primavera del 1978 finite con la barbara esecuzione di ALdo Moro mutarono per sempre il volto del nostro Paese.

Ripercorriamo le tappe di quei 55 drammatici giorni: 

Il 16 marzo 1978 poco dopo le 9 un commando delle Brigate Rosse entra in azione a via Fani, a Roma. In pochi minuti, dopo aver bloccato con un tamponamento le auto del presidente Dc Aldo Moro, le Br uccidono i 5 uomini di scorta e portano via Moro su una Fiat 132 blu. Poco dopo rivendicano l'azione con una telefonata all' Ansa. Cgil, Cisl e Uil proclamano lo sciopero generale. In serata il governo Andreotti, il primo con il voto favorevole del Pci, ottiene la fiducia alla Camera e al Senato.

 - 18 marzo: Arriva il 'Comunicato n.1' delle Br, che contiene la foto di Moro e annuncia l'inizio del 'processo'. - 19 marzo: Papa Paolo VI lancia il suo primo appello per Moro.

- 20 marzo: al processo di Torino, il 'nucleo storico' delle Br rivendica la responsabilita' politica del rapimento.

- 21 marzo: Il governo approva il decreto antiterrorismo.

- 29 marzo: Arriva il ''comunicato n. 3'' con la lettera al ministro dell'Interno Cossiga in cui Moro dice di trovarsi ''sotto un dominio pieno e incontrollato dei terroristi'' e accenna alla possibilita' di uno scambio. Moro non voleva renderla pubblica, ma i brigatisti scrivono di averla resa nota perche' ''nulla deve essere nascosto al popolo''. Recapitate anche altre lettere indirizzate alla moglie e a Nicola Rana.

- 4 aprile: Arriva il 'Comunicato n. 4', con una lettera al segretario della Dc Benigno Zaccagnini.

- 7 aprile: Il ''Giorno'' pubblica una lettera di Eleonora Moro al marito. La famiglia tiene un linea del tutto autonoma rispetto alla ''fermezza'' del governo. - 10 aprile: Le Br recapitano il 'comunicato n.5' e una lettera di Moro a Taviani, che contiene forti critiche.

- 15 aprile: Il 'Comunicato n.6' annuncia la fine del 'processo popolare' e la condanna a morte di Aldo Moro.

- 17 aprile: Appello del segretario dell'Onu Waldheim.

- 18 aprile: Grazie ad un' infiltrazione d' acqua, polizia e carabinieri scoprono il covo di via Gradoli 96. I brigatisti (Moretti e Balzerani) sono pero' assenti. A Roma viene trovato un sedicente 'comunicato n.7' in cui si annuncia l' avvenuta esecuzione di Moro e l' abbandono del corpo nel Lago della Duchessa. Il comunicato, falso in modo evidente, e' ritenuto autentico e per giorni il corpo di Moro sara' cercato, con un grande schieramento di forze, in un lago di montagna, tra le province di Rieti e L'Aquila, ghiacciato da mesi.

- 20 aprile: Le Br fanno trovare il vero 'Comunicato n.7', a cui e' allegata una foto di Moro con un giornale del 19 aprile.

- 21 aprile: La direzione Psi e' favorevole alla trattativa.

- 22 aprile: Messaggio di Paolo VI agli ''Uomini delle Brigate rosse'' perche' liberino Moro ''senza condizioni''.

- 24 aprile: Il 'Comunicato n.8' delle Br chiede in cambio di Moro la liberazione di 13 Br detenuti, tra cui Renato Curcio. Zaccagnini riceve un' altra lettera di Moro, che chiede funerali senza uomini di Stato e politici.

- 29 aprile: E' il giorno delle lettere. Messaggi di Moro sono recapitati a Leone, Fanfani, Ingrao, Craxi, Pennacchini, Dell' Andro, Piccoli, Andreotti, Misasi e Tullio Ancora.

- 30 aprile: Moretti telefona a casa Moro e dice che solo un intervento di Zaccagnini, ''immediato e chiarificatore'' puo' salvare la vita del presidente Dc.

- 2 maggio: Craxi indica i nomi di due terroristi ai quali si potrebbe concedere la grazia per motivi di salute.

- 5 maggio: Andreotti ripete il 'no alle trattative'. Il 'Comunicato n. 9' annuncia:''Concludiamo la battaglia cominciata il 16 marzo, eseguendo la sentenza''. Lettera di Moro alla moglie:''Ora, improvvisamente, quando si profilava qualche esile speranza, giunge incomprensibilmente l'ordine di esecuzione''.

- 9 maggio: Verso le 13,30, in via Caetani (vicino alle sedi di Dc e Pci), dopo una telefonata di Morucci avvenuta poco prima delle 13, la polizia trova il cadavere di Moro nel portabagagli di una Renault 4 rossa. Era in corso la direzione Dc, dove sembra che Fanfani stesse per fare un discorso aperto alla trattativa. Moro sarebbe stato ucciso la mattina presto nel garage di via Montalcini, il covo usato dai brigatisti come ''prigione del popolo''.

 Saranno presto all'attenzione dei pm della Procura di Roma le carte raccolte dalla Commissione bicamerale sul rapimento e l'omicidio del presidente della Democrazia Cristiana. 

L'incartamento verrà vagliato dal pm Eugenio Albamonte, titolare delle ultime inchieste ancora aperte a piazzale Clodio sulla vicenda Moro e in particolare quella avviata dopo le dichiarazioni dell'ex capo della Nuova Camorra Organizzata, Raffaele Cutolo, che ai magistrati raccontò di un suo possibile intervento per salvare lo statista e quella che gira intorno a Steve Pieczenik, psichiatra americano ed esperto di terrorismo che durante i giorni del sequestro fece parte del comitato di crisi presso il Viminale.

Tra gli spunti che il lavoro della commissione mette a disposizione dei magistrati anche quello relativo alla presunta esistenza di un altro presunto luogo di prigionia per Moro, oltre a quello di via Montalcini, nella zona della Balduina. In particolare il lavoro della "bicamerale" ha riguardato l'area di via Licinio Calvo dove i brigatisti, dopo il blitz di via Fani, lasciarono le auto utilizzate per sterminare gli agenti di scorta e prelevare l'allora presidente della Dc.

Mistero sui 10 miliardi di riscatto 

Nel maggio 1978, pochi giorni prima del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, il Vaticano era pronto a pagare fino a dieci miliardi di lire per la liberazione del presidente della Dc, ostaggio delle Brigate Rosse. Le banconote - mazzette di dollari, con fascette di una banca ebraica - erano su una consolle nella residenza pontificia di Castel Gandolfo e furono mostrata da papa Paolo VI a monsignor Cesare Curioni, responsabile dei cappellani carcerari, il quale aveva attivato contatti per la liberazione di Moro. Era presente anche mons. Fabio Fabbri, segretario di don Curioni. Ma da dove provenivano tutti quei soldi? E che fine fecero? Nessuno lo sa. Don Curioni è morto nel 1996 senza che quel mistero fosse svelato, mons. Fabbri ha detto alla Commissione Moro di non saperlo, e fonti vaticane, recentemente interpellate, hanno ribadito di ignorare chi procurò quel denaro e dove finì. Non era tuttavia, denaro dello Ior, ha precisato mons.Fabbri, alimentando ancor più il mistero, ormai quasi irrisolvibile.

I LUOGHI

VIA FANI angolo con via Stresa, la mattina del 16 marzo, intorno alle 9. Quartiere Camilluccia, quadrante nord della città. Un commando di terroristi (ma c'erano solo loro? E quanti in realtà?) apre il fuoco sulla scorta del presidente della Dc, Aldo Moro (partito dalla sua casa in via del Forte Trionfale 79 per andare alla Camera a votare la fiducia al quarto governo Andreotti), uccidendo i cinque agenti: Oreste Leonardi e Domenico Ricci a bordo della Fiat 130 di Moro; Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi sull'altra vettura. Moro viene prelevato e sistemato a bordo di una Fiat 132 blu che riparte a tutta velocità verso via Trionfale, preceduta e seguita da altre due auto dei componenti del commando. Secondo le ricostruzioni fornite successivamente dai brigatisti, le tre auto vengono abbandonate tutte insieme nella vicina via Licinio Calvo.

VIA MONTALCINI - Quartiere Portuense. Al numero 8, interno 1, di questa via della Magliana, secondo quanto emerso dai processi, sarebbe stato tenuto sotto sequestro per 55 giorni il presidente della Dc. La 'prigione del popolo' è in un territorio all'epoca capillarmente controllato dalla banda della Magliana che, a sua volta, ha legami solidi con apparati dello Stato deviati. Alcuni esponenti del gruppo criminale - da Danilo Abbruciati ad Antonio Mancini - abitano a pochi passi dal numero 8 di via Montalcini. L'appartamento è intestato alla brigatista Anna Laura Braghetti, la cosiddetta 'vivandiera'. Dentro ci sono anche Prospero Gallinari e Germano Maccari. Per gli 'interrogatori' arriva Mario Moretti, che parte da un altro luogo simbolo: via Gradoli 96. Tanti i dubbi sul covo: c'è chi ipotizza che lo statista sia stato prigioniero in altre zone. Addirittura sul litorale, in una zona più appartata e tranquilla rispetto a Roma, tra Focene e Palidoro, come indicherebbero i sedimenti trovati sugli indumenti del politico.

VIA GRADOLI - In questa traversa della Cassia, zona Nord, in una palazzina al numero 96, c'è Mario Moretti, sotto l'alias 'ingegner Borghi', con la compagna Barbara Balzerani. La Polizia, in occasione dei controlli fatti due giorni dopo la strage di via Fani, va in via Gradoli, come in altre strade del quartiere, ma non in quell'appartamento. Il 'covo di Stato' (nella definizione di Sergio Flamigni) viene scoperto solo il 18 aprile 1978, in seguito ad una perdita d'acqua segnalata dall'inquilina del piano di sotto. Si apprenderà poi che nella palazzina ci sono ben 24 case di società immobiliari intestate a fiduciari del Sisde. Altra stranezza: nel settembre del '79 il funzionario del Viminale Vincenzo Parisi compra un appartamento al numero 75, stesso stabile dove Moretti, prima e durante il sequestro, disponeva di un box auto. Tra l'81 e l'85 Parisi - nel frattempo diventato vicedirettore e poi direttore del Sisde - prosegue con gli acquisti al numero 75 ed anche al 96. Parisi diventa poi capo della polizia.

VIA CAETANI - Il sequestro si chiude con l'ultimo atto, questa volta al centro di Roma: in via Caetani - dietro Botteghe Oscure, sede del Pci e poco distante da piazza del Gesù, sede della Dc - dove la mattina del 9 maggio viene fatta trovare una Renault 4 amaranto con il cadavere del politico nel portabagagli. Tanti i dubbi sollevati da chi ritiene improbabile che i brigatisti quella mattina abbiano attraversato tutta la città per arrivare da via Montalcini al centro storico, con quell'ingombrante carico. C'è chi ipotizza che il prigioniero si trovava in realtà in un covo nei dintorni di via Caetani. L'informato Mino Pecorelli scrive il 17 ottobre 1978: "Il ministro di Polizia (Cossiga, ndr.) sapeva tutto, sapeva persino dove era tenuto prigioniero: dalle parti del ghetto". Altra suggestione: via Caetani costeggia due palazzi storici, Palazzo Caetani e Palazzo Antici Mattei. In quest'ultimo il Sismi fa degli accertamenti dopo via Fani identificando il direttore d'orchestra russo, naturalizzato italiano, Igor Markevitch e la moglie, Topazia Caetani. Markevitch venne poi indicato come possibile intermediario nella trattativa per liberare Moro e, da alcuni, addirittura come colui che condusse gli interrogatori sul politico. Successivamente, il Sisde installerà un ufficio nella piccola via alle porte del ghetto.

L'ennesimo enigma di una storia ancora oscura, come una strada non illuminata.

 


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