La Gabbia dei peccati paterni di Alexandre Postel.

di Orlando Trinchi 23/09/2017 CULTURA E SOCIETÀ
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Tornato nel proprio paese natìo una volta ricevuta la notizia della scomparsa del padre – con il quale intratteneva ormai, in seguito alla morte della madre, pochissimi rapporti –, un giovane venditore di telefoni cellulari compie una scoperta alquanto destabilizzante: la cantina della casa paterna nasconde una gabbia dentro cui è rinchiusa una ragazza. Queste le premesse da cui si dipana La gabbia – uscito recentemente in Italia per le Edizioni minimum fax, che pubblicheranno anche il prossimo Les deux pigeons –, affilato noir psicologico del francese Alexandre Postel, già autore di Un uomo discreto (Codice Edizioni, 2014), premiato come miglior esordio al Goncourt 2013.

Fin dalle prime batture, il breve romanzo si configura come un confessione – e come tutte le confessioni, votata a un'irrimediabile, vitale ambiguità – emessa su richiesta di una psichiatra al fine di ricostruire i fatti occorsi in quei cinque giorni che avrebbero per sempre scompaginato l'esistenza del protagonista, precipitandolo in una sequela di eventi dai contorni sempre più labili e inafferrabili: «Giovedì ho fatto questo, venerdì ho fatto quello, sabato ho fatto quest'altro. I miei occhi non sono capaci di abbracciare tutto in un unico sguardo. Capisco bene secondo quale strana logica una cosa sia succeduta a un'altra, ma non appena mi avvicino a una visione d'insieme avverto una specie di vertigine».

Una scrittura tesa, sincopata, a tratti immaginifica, ci restituisce intatte, fin nelle deviazioni più volatili e oniriche, le angustie di un percorso che si snoda fra sensi di colpa, verità taciute – secondo un procedimento che ricorda l'Avversario di Emmanuel Carrère – e tentativi di ricostituzione di un'identità insidiata da una dimensione di perturbante cupezza, da cui emergono tutte le difficoltà insite nell'accettare l'eredità del sangue e abbozzare una parvenza di riscatto, cogliere l'opportunità di tracciare il solco del proprio destino: «Quante volte, in passato, avevo immaginato la mia vita come un tunnel in fondo al quale mi attendeva un avvenimento sottratto al caso, alla banalità, alle mezze misure, una prova dalla quale sarei uscito trionfante o sconfitto? Quella situazione non poteva essere il risultato di un concorso di circostanze, una rapina mancata. In cantina andava in scena un dramma più essenziale, un dramma di cui ero l'attore principale; e il ruolo che mi era stato attribuito mi appariva come un'ombra vista controluce, all'uscita di un tunnel».

 

 

 

 

 


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