Oltre mezzo milioni di connazionali cancellatisi dall'anagrafe in 8 anni. Altre centinaia di migliaia "migranti interni"

di redazione 21/06/2017 ECONOMIA E WELFARE
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Un esercito di 509.000 connazionali si è cancellato dall'anagrafe per trasferirsi all'estero per motivi di lavoro nel periodo 2008-2016. E' quanto risulta dal rapporto "Il lavoro dove c'è" dell'Osservatorio statistico dei Consulenti del lavoro, presentato a Roma.

La prima meta degli italiani è stata la Germania, dove nel solo 2015 in 20.000 hanno trasferito la residenza; al secondo posto, "in forte crescita", la Gran Bretagna (19.000) e, in terza posizione, la Francia (oltre 12.000).

Dal 2008 al 2015 la disoccupazione nel Mezzogiorno "ha prodotto un aumento di 273.000 residenti al Nord e di 110.000 al Centro", con un totale di 383.000 persone andate via dalle regioni del Sud. I flussi migratori più intensi da Campania (-160.000 iscritti all'anagrafe dei comuni), Puglia e Sicilia (-73.000). Le regioni che hanno ricevuto il numero maggiore di cittadini: Lombardia (+102.000), E.Romagna (+82.000), Lazio (+51.000) Toscana (+54.000). Risulta dall' Osservatorio statistico dei consulenti del lavoro.

Quello che più sorprende, però, è il bilancio effettuato - nello stesso periodo - sugli stranieri rientrati nella madrepatria: 282mila. Si tratta, per lo più, di immigrati tentati dalla chimera di un riscatto economico e sociale, che si è però rivelato fallimentare. Rumeni, polacchi, ucraini e moldavi nella maggior parte dei casi, rimasti senza lavoro per la pesantissima crisi che ha investito settori chiave tra cui l'edilizia. Per loro l'anno nero è stato il 2012.

Nel caso degli italiani, invece, il trend registrato dall'Osservatorio assume la rappresentazione plastica di una retta che cresce progressivamente, sino a toccare la propria akmè nel 2015.

Germania, Regno Unito, Francia e Romania i Paesi europei più gettonati per il cambio di residenza, nella maggior parte dei casi “su segnalazione” di congiunti o amici già residenti in loco. Il Paese di Angela Merkel continua ad esercitare un forte ascendente sui nostri connazionali, per le innumerevoli possibilità offerte in ambito lavorativo soprattutto nel settore dell'automotive. 
«Una fotografia inquietante sullo stato di salute dell'Italia, che non attrae più», commenta Rosario De Luca, presidente della Fondazione studi dei consulenti del lavoro.

Il fenomeno rappresenta infatti una sorta di “vuoto a perdere”, dal momento che non viene bilanciato in maniera adeguata: sul fronte dell'incoming si registrano soltanto circa 10mila iscrizioni l'anno.

Nell'ottica di un rilancio del mercato del lavoro, la presidente del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro e del Comitato unitario delle professioni, Marina Calderone, ha auspicato che la legislatura si chiuda con l'approvazione di una norma sull'equo compenso.

L’indagine presenta e chiarisce gli aspetti di un altro fenomeno, per certi versi altrettanto significativo del trasferimento all’estero, ma spesso meno considerato: l’emigrazione interna tra le regioni. L’Italia è un paese con opportunità molto diverse ed una situazione di disomogeneità interna che non ha pari in Europa: per questo motivo i cambi di residenza da una regione all’altra sono notevoli e frequenti. Dal rapporto si evince che tra il 2008 ed il 2015 più di 380 mila italiani si sono trasferiti da una regione del Sud in un altro territorio del Centro o del Nord Italia. Si tratta principalmente di lavoratori qualificati che vedono nella fuga dal Mezzogiorno la via migliore per guadagnare di più.

È facile notare anche come il lavoro nelle città di residenza sia diminuito in questi anni e come le opportunità di lavoro siano distribuite in modo diverso da territorio a territorio. Lavorare nel comune di residenza sembra, infatti, un privilegio riservato agli occupati tra i 15 ed i 64 anni residenti in 13 grandi comuni con oltre 250 mila abitanti. Tra questi comuni, Genova, Roma e Palermo registrano nel 2016 oltre il 90% di occupati residenti. Inoltre, più di un occupato su dieci lavora in una provincia diversa da quella di residenza. Questo spaccato conferma quanto già rilevato dallo stesso Osservatorio nel rapporto annuale sulle dinamiche del mercato del lavoro nelle province
italiane, in cui le possibilità occupazionali nelle 110 aree provinciali italiane si differenziano enormemente da Nord a Sud. Si passa, infatti, da un tasso di occupazione del 37% nella provincia di Reggio Calabria ad un tasso del 72% nella provincia di Bolzano.

Se il dato della mobilità è ben presente nei cambi di residenza altrettanto si può dire per il pendolarismo quotidiano ed interprovinciale, che incide fortemente sullo stipendio, la soddisfazione dei lavoratori e la qualità della vita. Dal rapporto emerge, ad esempio, che Milano per le sue brevi distanze, l’intensità delle occasioni di lavoro ed i servizi di trasporto efficienti è l’epicentro degli spostamenti interprovinciali in Italia. Il capoluogo lombardo, infatti, è presente fra le province di destinazione o di partenza degli occupati “pendolari” in ben 6 delle 10 principali tratte. Al primo posto ci sono i 118 mila lavoratori che ogni giorno si muovono da Monza e Brianza per lavorare a Milano. Al secondo posto 59 mila lavoratori residenti a Varese che vanno abitualmente a lavorare in un comune della provincia di Milano mentre al terzo posto troviamo 48 mila residenti a Bergamo che raggiungono abitualmente il capoluogo lombardo per motivi di lavoro.


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