Cinquant'anni fa moriva Totò. Il principe genio della risata. La sua lezione immortale sulla miseria e la nobiltà dell'animo umano

di Rosanna Pilolli 14/04/2017 ARTE E SPETTACOLO
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Il genio artistico di Totò sopravvive da cinquant'anni nonostante la maggior parte dei film che lo videro protaognista non furono propriamente dei capolavori, taluni possiamo definirli semplicemente brutti.

Non appena però appare sullo schermo questo piccolo uomo dal volto asimmetrico, dai pantaloni sempre troppo corti e dal passo in punta di talloni, quasi in fuga permanente dal suo avversario, il “soverchiatore”,  il film, anche il meno riuscito, si accende e diventa godibile.

Totò è stato un “grande”. Affermazione facile e conforme oggi. Ma I suoi rapporti con certa critica borghese e perbenista non sono stati affatto facili durante gli anni cinquanta e sessanta: “un buon comico” si scriveva con la bocca difficile che avrebbe potuto fare molto di più se non avesse badato al guadagno. Insomma la sua comicità si sarebbe indirizzata ad un pubblico rozzo e dai gusti grevi. Il giudizio severo era comunque già allora contraddetto da quella parte di intellettuali del cinema più liberi e anticonformisti meno legati agli schemi e capaci di comprendere alcuni degli aspetti “metafisici” della comicità del Principe Antonio de Curtis.

 Fra le sue interpretazioni migliori quella del ladruncolo di “Guardia e ladri” del regista Steno accanto al “maestro” Aldo Fabrizi, peraltro premiata a Cannes. O ne  “La Mandragola” di Machiavelli per la regia di Alberto Lattuada  con il dialogo di fra’ Timoteo e la morte. E infine di carriera arrivò per lui Pierpaolo Pasolini che lo ri-scoprì clamorosamente in “Uccellacci e uccellini” affidandogli l’indimenticabile ruolo del mite fraticello di francescana memoria. La loro collaborazione continuò nei due episodi del film Capriccio all’italiana “Il mostro” e “Che cosa sono le nuvole”.

 In Totò si riconosceva un enorme pubblico di proletari, di piccoli impiegati incantati dalle eccentricità improvvise di un artista “usato” dai produttori per fare botteghino e che soffriva moltissimo di non poter interpretare le pellicole di valore diverso che venivano puntualmente bocciate. I temi dell’esistenza “agra” si imponevano nonostante tutto nei suoi film (quasi cento), per prima la fame (Stupenda la scena del pranzo in Miseria e Nobilta’” e l’arte di arrangiarsi, di  voler sopravvivere, il tentativo con le piccole furbizie e gli imbrogli di poco conto destinati all’insuccesso, di guadagnarsi un piccolo posto in una realtà che lo aveva posto fra gli uomini “ultimi” e non fra i “caporali”. ,

La malinconia di fondo, caratteristica pare degli attori comici, era presente nell’anima e nelle poesie dell’attore delle quali la notissima “A livella”. E nei repertori di molti cantanti non solo napoletani, figura tuttora la vendicativa “Malafemmina” composta per l’abbandono di una donna amata.

  Voluta dalla Regione Campania, l’intera giornata di sabato 15 aprile, anniversario della scomparsa di Totò gli sarà dedicata dagli attori della Compagnia di Toni Servillo e trasmessa in diretta dalle diverse “ location” con la riproposizione delle scene fra le più celebri dei suoi film.  

In mattinata Toto’ sarà a Roma. Non lui ovviamente ma la scena esilarante della vendita della Fontana di Trevi del film “Tototruffa ‘62” Alle 13 il programma si sposterà a Milano per riportare agli spettatori lo storico pezzo dei due cafoni, Totò e Peppino De Filippo, vestiti da “milanesi” con tanto di colbacco e cappottone nel caldo afoso dell’estate meneghina. Nel pomeriggio fino a sera Toto’ ritornerà tra la sua gente a Napoli, dove era iniziata nel 1898 nel popolare quartiere Sanità la sua difficile e tormentata vicenda umana.

Una vicenda gravata, anche dal suicidio della bellissima moglie Liliana.    

 


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