6 Febbraio. Si celebra la Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili

di redazione 06/02/2017 NON SOLO OCCIDENTE
img

Ricorre il 6 febbraio la Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili: una piaga che colpisce almeno 200milioni di donne e di ragazze in almeno 30 Paesi nel mondo. Si tratta di un fenomeno “culturale” che è ancora radicato soprattutto nel continente africano, eppure come conseguenza dei flussi migratori degli ultimi decenni è divenuto una triste realtà anche in Europa.

Per questo i casi succedono tra le popolazioni nomadi dell'Africa ma anche negli appartamenti alla periferia di Milano, Torino, Roma. Il numero preciso è sconosciuto: secondo le stime dell’Unicef e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità le donne sottoposte a mutilazioni genitali sono almeno 200milioni, 1 su 5 ha meno di 14 anni e altre 3 milioni sono le bambine che ogni anno sono a rischio. Vivono in oltre 30 paesi (Italia compresa) ma per lo più in Nigeria, Egitto, Etiopia e Indonesia. Paesi in cui la pratica è vietata dalla legge ma troppo spesso è accettata dalla società e inflitta dalle madri alle figlie, in un rito d’iniziazione nel rispetto della cultura. Non madri sconsiderate e sadiche ma donne certe di fare la cosa giusta, inconsapevoli di mettere a rischio la vita delle giovani ragazze. Ignare che l'infibulazione, la circoncisione, le mutilazioni in generale, possono portare alla morte e che evitarle regala alle loro figlie una vita migliore, in cui fare l’amore non fa male, partorire è meno doloroso e le infezioni sono meno frequenti.

Per contrastare un’abitudine tramandata dalla notte dei tempi, ogni anni si celebra la Giornata Mondiale contro l'infibulazione e le mutilazioni genitali femminili, un appuntamento per fare il punto sulla geografia del fenomeno, discutere i risultati delle campagne concluse ed elaborarne di nuove. Una tavola rotonda che coinvolge anche l’Italia dove le stime di Action Aid in collaborazione con l’università Bicocca di Milano hanno calcolato che vivono tra le 46mila e le 57mila donne emigrate che hanno subito mutilazioni e tra le 11mila e le 14milaneocittadine italiane e richiedenti asilo. Donne che arrivano (per lo più) dalla Somalia, dalla Nigeria, dall’Egitto e dal Burkina Faso e le cui figlie vanno protette, nel rispetto della legge 7 del 2006 che prevede da 3 a 16 anni di carcere ma le cui le denunce, finora, si contano sulle dita di una mano.

Ecco perché AFTER, il progetto lanciato da ActionAid, è rivolto alle madri e si augura, offrendo loro percorsi di empowerment, informazione ed educazione, di renderle consapevoli sui reali rischi a cui sottoporrebbero le loro figlie. Non solo: il 6 febbraio la mobilitazione sbarca anche in rete dove, all’hasthtag #endFGM, il simbolo della campagna - un soffione viola - appare nei profili di attivisti, influencer e testimonial che hanno deciso di vestire la speranza di un futuro migliore, senza più donne mutilate che mutilano altre donne, le loro figlie. 

 Anche in Italia il dramma delle mutilazioni genitali femminili è divenuto un tema di allarmante urgenza. Come ci confermano i dati recentemente diffusi da uno studio dell’Università Bicocca di Milano. Chiara Fattori, responsabile del progetto “After” di Action Aid Italia ne ha parlato a Radio a Vaticana

“Questo studio condotto dall’Università degli studi di Milano Bicocca ha fornito dei dati molto interessanti anche sull’Italia in quanto afferma la presenza di 162mila donne straniere provenienti dai Paesi considerati a rischio; si stima che tra queste, tra le 46mila e le 57mila siano state sottoposte a mutilazioni genitali femminili. Oltre il 60% di queste provengono in particolare dalla Nigeria e dall’Egitto. Con Action Aid, in particolare, abbiamo lanciato il progetto “After”, proprio per contribuire a ridurre il rischio per le donne migranti di subire mutilazioni genitali femminili”

 


Tags:




Ti potrebbero interessare

Speciali