La morte di Fidel Castro e la nostra incapacità di capire la Storia

di Massimo Lorito 27/11/2016 CULTURA E SOCIETÀ
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La mediocrità degli orizzonti della classe dirigente e intellettuale italiana di questo inizio secolo non finiscono mai di stupire, almeno per chi vuole cogliere, ancora, criticamente la realtà. Una sorta di morbo ipermetropico sembra diffondersi nei media, sulle tv, sul web a partire da quanti dovrebbero indirizzare l’opinione pubblica verso l’approfondimento dei fatti, delle notizie, sviandola invece, colpevolmente, verso pensieri miopi e del tutto inadeguati a comprendere la complessità della realtà e della Storia.

L’ultimo esempio che certifica la piccolezza dello “sguardo italico” sul mondo, viene dalla morte di Fidel Castro, fondatore assieme a Che Guevara della Rivoluzione Cubana e una delle personalità più influenti dell’ultimo secolo.

Autori, scrittori, giornalisti, che sono soliti frequentare i salotti televisivi o comunque spazi “autorevoli”, hanno espresso pensieri del tipo “è stato un dittatore, uno dai modi spicci, un violento”, nel migliore dei casi “uno che non ha realizzato i suoi ideali”.

Ogni riferimento a Massimo Gramellini e a Roberto Saviano è puramente voluto.

Cito questi perché ovviamente tra i più in vista presso la maggioranza delle persone che nel nostro paese hanno come sola fonte di formazione ancora la televisione o i principali network editoriali, noti altresì perché molto attivi sui social network. Li cito con la consapevolezza che tra i due scorra un oceano di differenze e meravigliandomi del fatto che un autore come Saviano sia stato così sbrigativo nel tentare di dare un giudizio su Castro. Tra i nomi illustri vorrei aggiungere Baricco e la sua critica all’assegnazione del Premio Nobel per la letteratura a Bob Dylan: “Che c’entra con la letteratura?”.

Queste affermazioni mi lasciano e dovrebbero lasciarci insoddisfatti e non di meno irritati. Da giudizi, slogan, così limitati così netti così rigidi, come è possibile trarre la verità sui fatti, in questo caso su un leader politico che ha attraversato il Novecento, il secolo politico per eccellenza? Una figura come quella di Castro merita di più di un rapido giudizio fatto sull’onda degli umori dei social network.

Ci sono due modi per risultare oggi un personaggio “intellettuale” di successo” sui social: o segui la massa e se dunque l’aria che si respira su Twitter, su Facebook è quella che dipinge Castro come un feroce dittatore, ti accodi, vedi Gramellini; o esprimi un giudizio che spiazza, che da te forse non ci si aspetta e cerchi di fare il bastian contrario, vedi Saviano. In entrambi i casi i tuoi tweet, i tuoi post, le tue esternazioni televisive faranno centro presso un uditorio così poco abituato all’approfondimento critico e alla ricerca delle fonti di informazione.

 Le domande sono: in questi giudizi dov’è la conoscenza dei fatti storici, dov’è il tentativo di cogliere la verità dei fatti contestualizzandoli ai momenti storici? Dove lo sforzo intellettuale di provare a capire?

Per quanto ci sforzeremmo non troveremmo nulla di ciò. Perché l’ “intellettuale 2.0” è più preoccupato di fare bella figura sui social, in un modo o in un altro, piuttosto che aderire al suo dovere fondamentale: la Critica della realtà. E per critica intendo non certo l’ostinata propensione a lanciare tweet e post, cercando di aumentare i “follower” e i “mi piace”, ma il dovere di essere tramite consapevole e critico tra i fatti, la vita e l’opinione pubblica.

Tali giudizi sembrano unirsi e confondersi con un abituale limite del personaggio pubblico e del cittadino italiano, quello di guardare e giudicare i fatti esterni con pregiudizi, punti di vista molto molto concentrati sui fatti interni, sui nostri luoghi comuni, su ciò che ci sembra più familiare, con mezzi e strumenti limitati nello spazio e nel tempo: banalmente, come se giudicassimo un pranzo a base di pesce, mentre il nostro piatto preferito e più conosciuto sia un arrosto misto di carne e magari non abbiamo mai assaggiato neppure il baccalà. Perdonerete l’esempio culinario ma credo calzi bene.

La prospettiva storica è decisiva quando si parla di un personaggio come Castro. Giudicarlo solo per la fine della sua parabola è commettere il medesimo errore che la stragrande maggioranza degli opinionisti e dell’opinione pubblica commisero nei confronti di un personaggio così complesso e profondo come Oriana Fallaci. Insomma le semplificazioni aiuteranno a vendere qualche giornale in più, ad aumentare l’audience, a far crescere i follower ma non a capire come stanno le cose.

Ma siamo ancora interessati a capirlo?

 Che dagli anni settanta il governo castrista sia diventato una dittatura non lo si mette in dubbio, se per dittatura si intende la soppressione delle opposizioni, del dissenso, la mancanza di vere competizioni elettorali, l’assenza della stampa libera, l’impossibilità di intraprendere attività economiche autonome, l’impossibilità di vivere liberamente la propria sessualità, si veda il bel film di Julian Schnabel, tratto dalle opere del grande poeta omossessuale cubano e anticastrista Reinaldo Arenas. Questa cosa della mancanza di libertà verso i diritti civili degli omossessuali ricorda qualcosa alle democrazie occidentali?

 Ma si può finire qui con Castro e con Cuba? Magari leggendo qualche libro di storia in più, ce ne sono tanti e di tutti gli orientamenti, si scoprirebbero cose interessanti: eventi, fatti, relazioni, dinamiche, statistiche che potrebbero allargare il giudizio su Fidel Castro, e questo non perché si debba cambiare idea sui suoi errori o sulle violenze perpetrate dal regime a cui egli ha contribuito in modo determinante. Violenze che, se si vuole rimanere nell’ambito dei fatti storici, a giudizio di molti osservatori e studiosi, anche statunitensi, sono state quantitativamente e qualitativamente inferiori a quelle di una qualsiasi delle dittature fasciste o comuniste del Ventesimo secolo. Non è questo il luogo per dire, come spesso si fa dei regimi autoritari: “però ha fatto anche cose buone”.

Approfondendo si capirebbe come l’America Latina sia un insieme di realtà complesse e distanti non solo dai nostri cliché, ma anche dalle nostre realtà; società, nazioni popoli che nella seconda metà del Novecento hanno subìto la prepotente ingerenza degli Stati Uniti e per cui le rivoluzioni di Castro, Che Guevara, il sogno di giustizia soffocato nel sangue di Salvador Allende, sono state una speranza di libertà ed emancipazione. Magari si potrebbe capire perché i grandi ideali che animavano quelle rivoluzioni, gli ideali delle generazioni latine che non avevano conosciuto l’orrore della Seconda guerra mondiale ma la speranza di un mondo nuovo e migliore, siano poi scivolate spesso tragicamente alla prova del potere. E uscendo dai social, si potrebbe capire forse quale sia la realtà di quelle nazioni oggi, di quelle società alle prese con l’abbaglio della globalizzazione, con l’arrivo dei cinesi, con l’indecisione statunitense di porsi come un interlocutore affidabile.

Ecco, citando la globalizzazione, così per fare un esempio di come si può “giudicare” una grande figura senza scadere nel qualunquismo, la parabola di Castro può essere letta anche come l’estremo tentativo di un popolo di resistere fieramente al tentativo di venire risucchiati nei flussi economico-finanziari globali, preservando la propria identità e indipendenza. Castro è stato un patriota, innamorato della sua terra e come tutti gli innamorati ha commesso errori, ma si potrebbe dire per amore e non per semplice brama di potere. servirebbe questo ad allargare i nostri sguardi, forse si.

Chiunque conosce la storia dell’America latina sa o dovrebbe aver imparato quanto sia stato decisivo per i “latini” difendere questo aspetto. Si badi che ci riguarda da vicino se pensiamo a come la nobile idea d’Europa stia scivolando verso meschini scenari economicistici o tecnocratici. Non era certo questa l’origine fondativa dei Padri costituenti dell’Europa.

Ho usato all’inizio l’avverbio “colpevolmente” per descrivere i danni che gli slogan dei social causano nel limitare gli strumenti di comprensione dell’opinione pubblica. Facile provarlo. Basta farsi un giro su Twitter o su Facebook e scoprire come ondate di parole e frasi, scritte spesso senza il minimo rispetto per i fatti e la storia, riempiano quel tribunale senza Legge né Giustizia che diventa internet ogni qual volta arriva il momento di commentare i fatti più importanti, le notizie più pregnanti. Così, sull’onda dei pensatori web mainstream si scrive e si giudica su Fidel Castro, sul Nobel a Bob Dylan, sulla guerra in Siria, sul Referendum costituzionale, sulla crisi dei migranti, come se si stesse parlando della ricetta che ha santificato la nostra domenica o del selfie che si è postato con soddisfazione narcisistica.

Il web, i social, così come i media “tradizionali” sono un’opportunità straordinaria, dovere di tutti noi e degli intellettuali usarli con senso di responsabilità e amore della ricerca critica. Altrimenti non servono a nulla se non a ingigantire i nostri ego.

Questa riflessione non assume quindi le difese di Fidel Castro, un leader che di errori e orrori ne ha commessi, senza dubbio. Un leader oltretutto dal carisma preponderante che si è sempre difeso orgogliosamente e ostinatamente da solo e che per questa ragione, forse, alla fine era rimasto un leader solitario, abbandonato, forse, anche dal suo popolo. 

Scrivo nella speranza di leggere sul web e di ascoltare in televisione, la prossima volta, a cominciare dalle esternazioni dei cosiddetti intellettuali, opinioni più confacenti ai fatti che si vuole commentare.

Infine. I vari autori, scrittori, intellettuali, esponenti politici e tutti noi cittadini e utenti del web, che ci muoviamo in questo presente labile fra realtà e virtualità, fatto di superficialità, mancanza di senso critico, opportunismo, attaccamento al potere, dovremmo avere almeno il coraggio di ammettere che da uno come Castro in fatto di tensione e forza morale, di spirito, di idealismo, di carisma, di desiderio di cambiare il mondo, di coerenza, qualcosa ci sia pur da imparare.   

 



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