L'iter infinito della Legge sulla Tortura. Vittima degli equilibri di governo e di una mentalità illiberale

di Matteo Lombardi 08/10/2016 POLITICA
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IL caso Cucchi qui da noi e le non verità dell’Egitto sulla tragica fine di Giulio Regeni, hanno di nuovo portato alla ribalta il tema della tortura.

Nell’era della velocità renziana, che poi bisogna capire se tutta questa voglia e fretta di legiferare sia veramente un valore aggiunto per la democrazia, c’è un disegno di legge fermo da anni in Parlamento, che dovrebbe servire per decretare, finalmente, i confini del reato di tortura. Stabilire quando le forze dell’ordine, gli inquirenti, prevaricano il limite investigativo o repressivo in un paese dove solo negli ultimi dieci anni sono morte almeno una decina di persone a seguito di eventi traumatici capitati mentre erano in arresto o sotto diretta cautela delle forze dell’ordine, in un paese che ha avuto il più grande caso di torture e violenze accertate d’Occidente in occasione del G8 di Genova, è una assoluta priorità. Una priorità che sta diventando un’emergenza democratica.

 I primi rigurgiti di una legge contro le torture e le violenze degli apparati dello Stato, nascono nel Parlamento della Prima Repubblica, a cavallo degli anni ottanta e del rampantismo craxiano che si allea con Cossiga e altri poteri, per fermare quella che già allora sembrava una giusta battaglia per la civiltà giuridica. In quegli anni solo dall'estrema sinistra e dai Radicali si levarono voci di sdegno per l'assoluta mancanza di sensibilità che la classe politica aveva dimostrato. 

E prosegue il suo cammino fra rifiuti, oblio e schiaffi politici fino ad oggi, quando troviamo il disegno di legge arenato al Senato, che, in vista del referendum costituzionale, ha ben altre priorità.

La camera alta a luglio, sotto le spinte dei centristi, degli alfaniani, dei verdiniani, e di una cospicua pattuglia dei senatori del Partito democratico, oltre che di quelli di Forza Italia, ha scelto di sospendere ancora una volta l’esame del testo. Il veto è giunto direttamente dal Ministro degli Interni che spinge affinché venga reinserito l’aggettivo, "reiterate" (violenze o minacce), senza il quale la legge sarebbe diventata a suo dire "troppo punitiva nei confronti della polizia".

Nel governo comunque la linea politica non è, per fortuna, solo quella dell’ex delfino di Berlusconi approdato alla corte di Renzi, visto che il Ministro della Giustizia Andrea Orlando, sembra stia seguendo con attenzione le vicende, orribili, del caso Cucchi.

La questione, il vero motivo che sta facendo allungare oltremodo i tempi di approvazione sembra però provenire direttamente dal Pd. I senatori sono spaccati fra un’ala più vicina alle posizioni centriste e una convinta che sia arrivato il momento di approvare la legge.

Ma fra le secche delle tattiche di partito e degli equilibri di governo, c’è realmente il rischio di assistere all’affossamento definitivo, fino a fine legislatura del provvedimento.  Sinistra italiana e movimento 5 Stelle premono affinché l’iter legislativo venga portato a termine e che soprattutto non si mescoli questo provvedimento con altri in tema di giustizia, come la riforma del processo penale, di cui sempre a Palazzo Madama si sta discutendo.

 

Una situazione su cui da tempo molte associazioni, tra cui Amnesty International stanno concentrando i propri sforzi per arrivare ad un esito positivo.

Amnesty ricorda che: “La Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984, ratificata dal nostro paese nel 1988, prevede che ogni stato si adoperi per perseguire penalmente quegli atti di tortura delineati all’art. 1 della Convenzione stessa.

Da Amnesty fanno sapere che il testo approvato in prima battuta “introduce un reato specifico di tortura e non richiama il requisito della necessaria reiterazione degli atti di violenza o minaccia perché si possa parlare di tortura. Quanto invece alle criticità, il reato viene qualificato come comune e quindi imputabile a qualunque cittadino, anche se si prevede l’aggravante se commesso da pubblico ufficiale; questo, è stato possibile grazie all’approvazione di un emendamento proposto in fase di discussione che ha modificato il testo originario, che invece mirava a qualificare il reato di tortura come reato proprio, oltre che specifico, punibile solo se commesso da un pubblico ufficiale. Un’altra criticità consiste inoltre nella non perseguibilità delle condotte omissive e nell’eliminazione la parte dell’art. 5 che prevedeva l’istituzione di un fondo nazionale per le vittime della tortura”.

 Osservazioni che condividiamo pienamente e che ci spingono a chiedere che il reato di tortura venga finalmente introdotto nel codice penale italiano quanto prima e nel massimo rispetto degli standard internazionali.

 



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