Arriva nelle sale The Witch. Il male tra realtà e follia nel cuore degli uomini

di Emiliano Baglio 19/08/2016 ARTE E SPETTACOLO
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1630, New England. Una famiglia di coloni di origini inglesi è stata appena cacciata dalla propria comunità e si è stabilita in una radura al confine con i boschi. Quando il loro figlio più piccolo, il neonato Sam, scompare misteriosamente per loro comincia una vera e propria discesa agli inferi; le tensioni familiari esplodono, la fame e la carestia si fanno sempre più pressanti, le certezze religiose vacillano dinnanzi ad una natura ostile e al sospetto che dietro ai tragici avvenimenti ci sia lo zampino di Satana.

 Uno degli errori più gravi che si possano commettere rispetto ai film è quello di volerli per forza catalogare ed etichettare. The witch, opera prima del canadese Robert Eggers, è stato subito accolto come uno dei migliori horror degli ultimi anni. Da noi esce in piena estate col rischio di deludere tutti, gli appassionati di film d’autore prevenuti che se ne terranno lontani e gli amanti del cinema di genere poco avvezzi ad opere che si discostino dai cliché tipici degli horror estivi delle multisale.

Sarebbe un vero peccato per entrambi perché The witch ci presenta un regista dalle grandi capacità che ha dinnanzi a sé un futuro radioso e brillante.

Eggers ha impiegato quattro anni per realizzare il suo esordio. Ha studiato i documenti ed i diari dell’epoca utilizzandoli per scrivere la sceneggiatura ed i dialoghi stessi del film. Ha ricostruito persino la lingua dell’epoca chiamando ad interpretare il film attori inglesi e scozzesi (finezze che verranno appiattite dal solito doppiaggio). Ha deciso di far cucire a mano i costumi dei protagonisti, di costruirne la casa con i materiali dell’epoca e di illuminare le scene notturne solo con candele. Il risultato finale è un film quasi monocromatico dominato da un cielo ed una terra grigie, scene notturne che richiamano alla mente tanto la pittura fiamminga quanto i film di Andrej Tarkovskij, ed uno stile che alle volte potrebbe tranquillamente appartenere ad una installazione di video arte come, ad esempio, nella scena in cui la strega del titolo uccide il neonato accompagnata da una musica stridente che ne amplifica l’effetto.

Eggers dimostra grandissime qualità estetiche e di direzione degli attori, la capacità di precipitare lo spettatore in un clima di crescente paranoia e follia utilizzando mezzi lontani chilometri dagli artifici banali con i quali troppi horror tendono a farci balzare sulla sedia. Ci sono moltissime scene che sottolineano questa sua bravura, dalla cena di famiglia che richiama chiaramente l’iconografia cristiana col capo famiglia al posto di Gesù, alla crisi mistica di uno dei figli, Caleb, vero e proprio saggio di capacità di direzione degli attori.

Tuttavia alla fine rimane l’impressione di uno sfoggio di bravura un po’ fine a sé stessa non supportato da una storia altrettanto solida, soprattutto nel finale, da molti lodato e che a noi invece sembra il tassello più debole dell’intera impalcatura.

Eggers mette chiaramente in scena lo scontro tra una religiosità protestante fanatica ed una natura ostile e matrigna.

Lo scontro tra queste due dimensioni porta inevitabilmente allo scoperto tutte le tensioni che attraversano il nucleo familiare.

Katherine (Kate Dickie), la madre, è una donna distrutta dal dolore che segretamente accusa il marito di averla sradicata dalla tranquilla campagna inglese e di averla trascinata in mezzo al nulla. William (Ralph Ineson) è un capofamiglia sostanzialmente inetto. I due figli Mercy e Jonas hanno come unica occupazione quella di comporre macabre canzoni dal chiaro sapore satanico a lode del loro caprone. Il figlio maggiore Caleb (Harvey Scrimshaw) vede progressivamente vacillare la sua fede religiosa messo dinnanzi al confronto con un ignoto ed un destino nel quale fatica a scorgere il disegno di Dio. Infine c’è la vera figura centrale del film, la figlia Thomasin (Anya Taylor-Joy). La ragazza è l’elemento perturbante che si inserisce in questo fragile equilibrio. La pubertà che si affaccia sul suo corpo sconvolge gli ormoni del fratello Caleb e viene percepita dalla madre come un pericolo al potere che essa esercita sul marito. Non è un caso che sia proprio Thomasin ad accusare il padre della sua incapacità rivolgendogli contro quelle accuse che probabilmente covava in seno da tempo la moglie.

Inevitabile dunque che proprio la ragazza venga additata come la fonte di tutti i mali che affliggono la famiglia in cerca di un facile capro espiatorio che permetta a tutti di ridare un ordine razionale ad un mondo che sfugge completamente ai rigidi preconcetti religiosi con i quali queste persone cercano di leggere la realtà.

Tuttavia lo scontro tra la natura ostile ed insondabile ed una religiosità totalizzante e fanatica così come le tensioni interne al nucleo familiare in The witch spesso appaiono appena abbozzate e lasciate all’intuizione dello spettatore.

Anche in questo caso però, nonostante le scene madri come lo scontro padre-figlia, il regista sembra troppo spesso fermarsi ad una messa in scena perfetta, inquietante, sporca e misteriosa, incapace però di affondare la lama con forza.

Eggers per carità è bravissimo nel descrivere una realtà in cui il mondo materiale e quello invisibile convivono perfettamente e sono altrettanto reali quanto indistinguibili l’uno dall’altro, una realtà in cui le filastrocche dei bambini possono suonare come orrende invocazioni a satana, i normali comportamenti degli animali come presagi del male e nel quale la fame dovuta ad un raccolto malato sono concreti tanto quanto le streghe nel bosco.

Il vero limite del film però risiede a nostro avviso nel finale nel quale il regista si sente quasi in dovere di dare “una spiegazione” ai fatti ai quali abbiamo assistito.

Una conclusione che ha reso felici gli adepti del Tempio satanico che lo hanno definito “a transformative satanic experience” e che tuttavia, nonostante la potenza visiva e filosofica che vedono trionfare il male visto come esperienza dolce ed allettante, a nostro avviso rovinano l’atmosfera ambigua del film.

Noi crediamo che invece la chiusura perfetta di questo film sarebbe stata la scena in cui Thomasin poggia il capo sul tavolo e si addormenta, perché questo avrebbe permesso allo spettatore di continuare ad interrogarsi sul senso del film chiedendosi cosa fosse reale e cosa no, cosa frutto del maligno e cosa frutto della fame e di una visone religiosa del mondo sempre ai confini della follia.



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