RAI allo sbando. Senza un piano aziendale. Renzi si smentisce e la occupa in vista del referendum

di Massimo Lorito 08/08/2016 POLITICA
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Per mesi Il premier Renzi ha riempito di dichiarazioni le agenzie di stampa in cerca di quel consenso popolare, non guadagnato dalle urne per le modalità con le quali si era formato, affermando che uno fra gli obiettivi principali del suo governo sarebbe stato quello di “departitizzare” la Rai. “Via i partiti dalla Rai”, un mantra ben assestato ad ogni appuntamento in cui si discuteva di informazione e non solo, come nella migliore "narrazione" e stile propagandistico di Renzi.

Molti osservatori avevano anche sperato in un cambio di rotta operato dal presidente del consiglio che mettesse fine all’annosa questione della divisione politica delle testate giornalistiche della più importante azienda pubblica di informazione e intrattenimento. Ma i primi giorni d’agosto di questo difficile 2016 hanno definitivamente sepolto ogni speranza di cambiamento in senso democratico e liberale.

Un sofferto consiglio d’amministrazione ha votato il 4 agosto per i nuovi direttori di testata. Un voto che ha sancito la netta contrapposizione fra il partito di governo, il Pd che si è anche diviso al suo interno e le opposizioni, in testa Movimento 5 Stelle e poi il centrodestra. Il no alle nuove nomine è infatti giunto dai tre consiglieri vicini al M5S e al centrodestra. Ma c’è stato uno scontro anche nel Pd: due senatori della minoranza dem si sono infatti dimessi per protesta dalla Vigilanza. Il voto avvenuto a maggioranza, con i 3 no di Carlo Freccero (indicato dal M5S) e dei due consiglieri vicini al centrodestra Arturo Diaconale e Giancarlo Mazzuca. Tra i consiglieri della maggioranza, in particolare da Rita Borioni (vicina a Matteo Orfini) e Franco Siddi, sono state espresse varie critiche e rilievi su tempi e metodi delle scelte del direttore generale Campo Dall'Orto, ma alla fine hanno votato a favore insieme al renziano Guelfo Guelfi, al centrista Paolo Messa, alla presidente Monica Maggioni e al consigliere indicato dal Tesoro Marco Fortis. E' finita 6 a 3.

Le nomine

Ida Colucci è promossa al Tg2 al posto di Marcello Masi, Luca Mazzà scelto per sostituire Bianca Berlinguer al Tg3, Andrea Montanari al Gr-Radio1 e Nicoletta Manzione a Rai Parlamento. Restano in sella Mario Orfeo al Tg1 e Vincenzo Morgante alla TgR.

I Dem si spaccano, i senatori del Pd Miguel Gotor e Federico Fornaro si dimettono dalla commissione di Vigilanza Rai. Le nomine Rai "sono state fatte in modo non trasparente - dicono - penalizzando competenze e professionalità interne, come ad esempio nel caso di una giornalista autorevole quale Bianca Berlinguer, senza che emergano un profilo e una visione di un moderno servizio pubblico". "Il Pd - aggiungono - non è nato per riprodurre i vizi del passato, ma per cambiare l'Italia e, convinti che un altro Pd sia possibile, ci dissociamo da uno stile e da un costume politico che non ci appartiene".

L'ex direttrice del Tg3 Bianca Berlinguer condurrà uno spazio pomeridiano di approfondimento su Rai3 alle 18.30 dal lunedì al venerdì, poi da febbraio anche una doppia seconda serata settimanale. Questo - secondo quanto si apprende - l'accordo trovato tra la giornalista e i vertici di Viale Mazzini. L'ex direttore del Tg2 Marcello Masi dovrebbe invece entrare, come vice, nella squadra del direttore per l'Offerta informativa Carlo Verdelli.

L’analisi.

Tempi e modi di queste nuove nomine devono far preoccupare chiunque abbia a cuore l’integrità e l’equilibrio del sistema informativo nazionale, quindi dell’intero sistema democratico. Al di là dei nomi scelti, su cui non sarebbe giusto esprimersi ancor prima che intraprendano il proprio lavoro, ciò che non torna è l’incredibile contraddizione fra le parole di Renzi sulla Rai e come si sono svolti i fatti a Viale Mazzini. E’ fin troppo evidente che le nomine giungono in un momento di difficoltà del governo che vuole dunque blindare l’informazione, soprattutto in vista del cruciale referendum confermativo sulle riforme istituzionali che si terrà in autunno. E’ questa una battaglia decisiva per Renzi, egli steso lo ha sottolineato per mesi dichiarando che si giocava tutto, salvo poi recedere a più equilibrate e sorvegliate dichiarazioni, il cui esito, non sfugge a nessuno, passerà anche attraverso la gestione dell’informazione nelle prossime settimane. Provvedimenti dunque voluti fortemente da Renzi in prima persona che ovviamente non si è esposto altrettanto, non a caso si trova in queste ore a Rio de Janeiro per partecipare alle cerimonie d’apertura della trentunesima Olimpiadi, ma che non lasciano dubbi su come per la politica italiana, da destra a sinistra, la Rai rappresenti una sorta di ossessione, di luogo in cui piazzare i propri “partigiani” e da cui diffondere una visione della realtà ad uso e consumo dei propri interessi particolari.

La domanda che poniamo ai nuovi direttori di testata: sarete in grado di garantire l’imparzialità e l’equilibrio dell’informazione su temi così cruciali come le riforme costituzionali?

Chi scrive ha molti dubbi in proposito anche perché la realtà ci dice che la mission della Rai di essere Servizio pubblico per tutti gli utenti che pagano il canone, appare sempre più improbabile in un’azienda dove i partiti, il potere, il governo, non solo non se ne sono andati ma di giorno in giorno s’azzuffano per metterci non uno ma tutti e due i piedi. 

Dalla Rai si diffondono quotidianamente informazione, intrattenimento, educazione, divulgazione, sport, fiction, cinema, una serie di contenuti a disposizione di milioni di utenti, tele e radio ascoltatori. Per riuscirci molti validi professionisti contribuiscono a questo obiettivo decisivo per un servizio pienamente pubblico che nel nostro paese, come dicono le statistiche, è ancora prevalente e predominante sui contenuti prodotti dal web. Insomma la televisione in Italia conto ancora moltissimo in termini di formazione e influenza sull’opinione pubblica. Questo per dire che il patrimonio Rai va tutelato e migliorato, ma sinceramente non si intravede nelle politiche governative questa intenzione, casomai quella di accaparrarsi le stanze dei bottoni. Alla Rai serve un Piano aziendale degno del ruolo e dei doveri che le spettano, non se ne fanno così da almeno 25 anni e si naviga a vista ben manovrati dai governi di turno.

Siamo passati così senza soluzione di continuità dal tempo degli “editti bulgari” berlusconiani alle nomine del 4 agosto 2016 che ci lasciano più di un dubbio sul fatto che il Governo Renzi abbia messo una seria ipoteca sull’informazione pubblica.

Non è certo in questo modo che si può modernizzare l’azienda Rai. Si torna invece indietro di 40 anni, di quando le segreterie dei partiti di governo si spartivano, proporzionalmente ai voti ottenuti nei seggi, le testate giornalistiche Rai.

Per questo chiediamo, assieme a tutti coloro, e forse in questo paese sono la maggioranza che hanno a cuore la democrazia, una volta per tutte: Via i Partiti dalla Rai, ma per davvero, anche in ragione del fatto che si è praticamente obbligato tutti i cittadini italiani a pagare il canone Rai.

 

 



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