La strage di Orlando. Violenza, intolleranza, fanatismo. La responsabilità di società che non accettano il diverso e puniscono i più deboli

di Massimo Lorito 13/06/2016 CULTURA E SOCIETÀ
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L’orribile strage del Pulse, il locale frequentato da gay ed etero nella vacanziera Orlando in Florida, che ha visto la morte di 50 innocenti freddati senza pietà dal terrorista, già definito lupo solitario, Omar Mateen, deve per forza di cose obbligarci alla riflessione.

Alcuni punti riguardano la situazione interna agli Sati Uniti, altri tutti noi.

Prima riflessione. Gli Stati Uniti d’America sono un paese libero e liberale, con un mercato completamente aperto senza vincoli di particolare rilevanza. Ma ciò che vale per la vendita dei vestiti, del cibo, del bricolage o dell’oggettistica per campeggio, non può valere per la vendita delle armi. Questa strage lo dimostra qualora ve ne fosse ulteriore bisogno. Mateen da tempo controllato addirittura dall’FBI ha potuto tranquillamente recarsi in un negozio e acquistare il suo arsenale. Il presidente Obama non è riuscito a vincere la sua battaglia contro le lobby dei produttori di armi. Al suo successore l’arduo compito. Difficile pensare che lo farà rum nel caso fosse eletto a novembre.

Secondo. La società americana è oggi più che mai in crisi. Fortemente divisa per ragioni etniche ed economiche. Troppi sono gli esclusi. Le minoranze, qualunque esse siano, sono ben lontane dal ridurre il gap con le elite, in larga parte bianche che hanno in mano i gangli fondamentali del paese. Le ideologie ei dogmi del fanatismo hanno vita troppo facile in questo quadro di sperequazioni, si insinuano le follie fondamentaliste con estrema facilità nelle periferie americane, così come in quelle europee. I killer americani così come in Europa, sono spesso emarginati, individui che hanno subito sconfitte sociali di vario genere e covano a lungo rabbia, violenza e desiderio di vendetta. L’Isis, i talebani, AL Qaeda sa benissimo come sfruttare le menti deboli, disturbate di questi individui e armarli e convincerli al martirio è fin troppo facile.

Terzo. Le responsabilità dei media e del web. Ormai è diventato fin troppo “normale” passare dall’assoluto anonimato alla fama mondiale. Le azioni violente, le intolleranze trovano immediato riscontro e una larga cassa di risonanza nel mare magnum di internet. Ovviamente non si può intervenire per censurare, la censura non serve a niente, ma l’obiettivo è l’educazione, la formazione a usare i media, internet e le possibilità offerte dalle nuove tecnologie con equilibrio, agendo in modo che essi siano veicolo di valori positivi e non di idee, comportamenti intolleranti e violenti.

Ultimo. Una riflessione che riguarda il nostro mondo oggi a 360 gradi. Viviamo un momento di grande disagio sociale in parte dovuto alla crisi economica globale, in parte alla perdita di orizzonti di senso e di valori che fino a qualche decennio fa riempivano la quotidianità delle masse. La disgregazione degli ideali, anche delle ideologie, non è stata di per sé una vittoria del genere umano. Perché gli individui lasciati soli sono più deboli, ricattabili, facili all’intolleranza, alla diffidenza verso l’altro, verso gli altri, soprattutto se gli altri sono i “diversi”. La violenza di Orlando, se pure sotto forme differenti, meno cruente, ha la stessa matrice delle violenze e delle paure riversate sugli immigrati, sulle minoranze etniche, sociali, economiche.

La diffusione della violenza, dai campi di calcio alle strade delle città, la violenza e la rabbia contro i gay, contro i neri, contro gli altri, sempre gli altri, nasce dalla perdita dei criteri di giudizio e di tolleranza. La violenza verbale di molti leader politici va stigmatizzata proprio per queste ragioni. Chi soffia sul fuoco delle paure deve assumersi le proprie responsabilità ed essere considerati agitatori sociali a tutti gli effetti.

Il disagio sociale porta violenza, porta intolleranza, porta rabbia contro i diversi. Una volta il diverso è il gay, un’altra le donne, un’altra gli immigrati, altre volte i più deboli socialmente, i diseredati; in ogni caso sempre le parti più deboli delle nostre società

Bisogna velocemente ripartire dalla diffusione del principio del rispetto universale, della tolleranza, della reciproca comprensione.

Le istituzioni con il buono esempio, la famiglia, la scuola, e tutti i centri educativi devono farsi carino di questo imprescindibile dovere.

Quasi settant’anni fa il mondo ancora in macerie partorì la Carta dei diritti fondamentali dell’Uomo. L’articolo 3 recita “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona. Senza distinzione di genere, razza, età, religione e orientamento politico”.

Non ci resta che ripartire da qui, prima di tutto da qui.

 

 


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