Il Suicidio, tra le prime cause di morte nelle forze dell'Ordine

di Massimo Lorito 23/10/2015 CULTURA E SOCIETÀ
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C’è una questione di cui si parla pochissimo ma che riguarda da vicino la collettività e i cittadini perché ha a che fare con la percezione della sicurezza, una delle basi della convivenza sociale. L’Italia ha un triste record fra i pesi occidentali, quello dei suicidi tra le Forze dell’ordine, in particolare nel corpo della Polizia di Stato. L’ultima vittima di questo elenco sarebbe una donna, agente di 37 anni della Polizia provinciale trovata morta nella sua auto il 21 ottobre a Cetraro in provincia di Cosenza con un foro di proiettile, quasi certamente un suicidio. Ma al di là di questo caso di cui si accerterà la causa, il dato certo è che dall’inizio del 2015 fino a settembre sono già 11 gli agenti di polizia suicidatisi, 4 fra la polizia locale, 5 i Carabinieri, 2 nella Penitenziaria e 3 nella Guardia di Finanza. Il tasso di incidenza dei casi di suicidio tra le forze dell’rodine negli ultimi dieci anni è il doppio rispetto alla popolazione civile. (Dati  Cerchio Blu - Osservatorio dei suicidi all'intenro delel forze dell'ordine).

 Una mattanza silenziosa che viene sottaciuta per una serie di ragioni che analizzeremo dopo, ma su cui pare comincia ad alzarsi il velo di silenzio e omertà che negli anni hanno accompagnato il triste fenomeno. Da più parti, ad esempio dal Coisp, il Sindacato indipendente della Polizia, si chiede tramite il segretario generale Franco Maccari, di istituire una commissione d’inchiesta per il monitoraggio e il controllo dei casi di disagio tra il personale. E la necessità di mettere in atto azioni concrete in tal senso è giustificato da un dato ancora più inquietante se possibile di quelli prima riportati. Dal 1999 al 2011, ben 137 poliziotti si sono tolti la vita, un dramma che fa dei suicidi la prima causa di morte fra gli agenti in servizio, più delle vittime dei conflitti a fuoco o degli infortuni sul lavoro.

Per quanto riguarda la Polizia di Stato Maccari ha scritto in una lettera del settembre scorso al Capo della Polizia Alessandro Pansa, che “Il 2015 ci vede primeggiare nell’unica classifica tra le Forze dell’Ordine in cui vorremmo arrivare ultimi: quella dei suicidi di poliziotti”.

Undici colleghi ci hanno lasciato dall’inizio dell’anno, più del doppio dei 5 Carabinieri e quasi lo stesso numero di tutte le Forze di Polizia sommate assieme, compresa la Polizia Locale. Anche questi numeri, temiamo, siano solo parziali e non comprendono i tentativi di suicidio non giunti alle estreme conseguenze. Un fenomeno che non può più, professionalmente ed umanamente, essere ignorato come si è fatto finora”.

Purtroppo quando si parla di suicidi tra le Forze dell’ordine si entra in un campo minato, nel quale molti sono gli ostacoli che vanno ad impedire una seria e proficua discussione in merito. Alcuni di questi “intoppi” sono stati analizzati nel libro  Lavorare in polizia: stress e burn out edito da Franco Angeli a cura di Francesco Carrer, criminologo e Sergio Garbarino, vicequestore, neurologo e medico della polizia alla Questura di Genova.

Nella ricerca si evidenzia come il nostro paese soffra purtroppo di un arretramento notevole sul tema del disagio psicologico fra gli agenti o i militari in genere, mentre in paesi come Francia e Belgio si stanno sperimentando forme di assistenza come pool di psicologi che intervengono addirittura assieme ai poliziotti sulle scene degli episodi più cruenti, da noi si preferisce spesso tacere. Vi sarebbe alla base un rifiuto tradizionale e ancora generalizzato del supporto psicologico, che sarebbe visto dalla cultura “machista” dominante talvolta tra gli agenti, come un’insopportabile punto di debolezza individuale da nascondere agli occhi dei colleghi e dei superiori. La paura di molti poliziotti, carabinieri, agenti è quella di rischiare di venire isolati, “marchiati”, una paura che li spinge al silenzio piuttosto che alla ricerca di un aiuto per la propria sofferenza psicofisica. La questione per cominciare a risolvere questo dramma è quella di considerare le sofferenze degli agenti non come un problema individuale e per questo da ignorare ufficialmente, ma come una questione professionale a tutti gli effetti, del tutto inerente al tipo di lavoro e di mansioni svolte.

 
Ritornando alle iniziative messe in atto, già nel 2010 il Coisp aveva inviato alcune lettere all’ora capo del Corpo Prefetto Manganelli, nelle quali si solleva la questione del benessere psicologico e fisico dei lavoratori ottenendo la promessa di realizzare alcuni progetti formativi sulla salute mentale del personale e la formazione del personale sanitario in materia di gestione delle problematiche psichiche degli operatori di polizia; e ancora la formazione  del personale dei diversi ruoli della Polizia di Stato in materia di gestione dello stress; l’istituzione di una rete di personale sanitario, particolarmente qualificato in materia di salute mentale che sia di riferimento per gli operatori sul territorio; l’attivazione, mediante apposite convenzioni con i vari ordini regionali degli psicologi, di una capillare rete di assistenza attraverso la quale i dipendenti, in forma completamente autonoma rispetto all'Amministrazione, possano ricevere l'eventuale necessario supporto. Provvedimenti certamente utili, ma che in larga parte sono rimasti inattuati fino ad oggi.

La richiesta del sindacato autonomo della Polizia è quella di portare queste tematiche all’interno del circuito di aggiornamento professionale, in modo da poter discutere delle soluzioni possibili. Fra le soluzioni individuate quella appunto di costituire una Commissione d’inchiesta per il controllo dei possibili casi di disagio fra il personale, in cui condividere con le rappresentanze del personale i risultati e le conclusioni che la Direzione Centrale di Sanità, attraverso il Centro di Neurologia  e Psicologia Medica del Servizio Operativo Centrale, ha raccolto in questi anni, rendendolo uno strumento pratico e di diffusa divulgazione tra i colleghi.

 

 

 

 

 


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