Emanuela Orlandi. Il fratello Pietro a Verissimo "Mia sorella sequestrata e prigioniera a Londra, Bisogna indagare su un ex NAR"
“Di questa pista inglese non se ne vuole occupare nessuno ma io penso che dal 1983 al 1997 Emanuela sia stata a Londra”: dopo 41 anni, Pietro Orlandi ha un’idea abbastanza precisa di cosa sia accaduto a sua sorella Emanuela, la 15enne scomparsa inspiegabilmente il 22 giugno del 1983.
L’ha già condivisa con i magistrati della Procura di Roma e nuovamente ieri con il pubblico della trasmissione Verissimo di cui è stato ospite. Non è un’ipotesi elaborata da sé quella del fratello della cittadina vaticana scomparsa ma a cui Pietro Orlandi è arrivato solo dopo aver ricevuto notizie e documenti da parte di una persona che “era addetta alla gestione del sequestro. Viveva in un appartamento vicino a quello di Emanuela ed era addetto alle piccole mansioni, tipo fare la spesa per lei”. “Mi ha contattato un anno fa e poi è sparito”. Quest’uomo adesso ha un nome: Vittorio Baioni come rivelato durante la trasmissione da Pietro.
“Ho fatto analizzare quella foto da esperti e si tratta della collanina di Emanuela, è un elemento importante. Baioni mi ha fatto anche un altro nome di una persona che stava nel suo gruppo, quello di Stefano Soderini che avrebbe fatto delle telefonate anonime, prima di essere arrestato. Di questa pista non se ne vuole occupare nessuno. Soderini è ancora vivo e pare sia latitante in Sud America”, ha aggiunto il fratello della ragazzina scomparsa che oggi se ancora in vita avrebbe 56 anni.
Secondo questa ricostruzione Baioni sarebbe andato a Londra insieme a Emanuela nel 1983, poco dopo il sequestro, a bordo dello stesso volo partito da Roma. “Lui mi ha detto che è partito con lo stesso volo Roma-Londra. Non si è fatto più sentire, nessuno lo convoca anche se avevo già fatto il suo nome agli inquirenti. Ci sono elementi di contatto in quei giorni tra il Vaticano e il Ministero della Difesa italiano, di richiesta da parte del Vaticano, di un volo Roma-Londra”, ha aggiunto Pietro Orlandi.
Sono elementi contenuti in parte anche nei famosi cinque fogli venuti fuori durante lo scandalo di Vatileaks, la fuga di documenti da parte dei cosiddetti “corvi”. Su quei fogli c’era l’elenco completo delle spese sostenute per “la cittadina Emanuela Orlandi” dal Vaticano per il suo mantenimento a Londra in un convitto in Chapman Road, gestito da padri Scalabriniani. Nel 2015 per questa fuga di notizie venne arrestato tra gli altri Monsignor Lucio Angelo Balda. E proprio a monsignor Balda erano indirizzati i messaggi Whatsapp inviati da Francesca Chaouqui, anche lei arrestata durante Vatileaks perché accusata di aver fatto trapelare delle notizie.
In questi ormai noti messaggi, la Chaouqui scriveva nel 2014 al monsignore: “Devi far sparire quella roba della Orlandi” e ancora: “Fai le copie di quelle cose della Orlandi e mandale in Procura in forma anonima” e il più inquietante: “Come li paghiamo i tombaroli?” Secondo quanto scritto in questi messaggi anche Papa Francesco sarebbe stato al corrente del contenuto della conversazione tra Balda e Chaoqui su Emanuela Orlandi e anche della presenza decisamente ingombrante di una cassa con dentro cose che riguardavano Emanuela.
Pietro ha raccontato che “Francesca Chaouqui mi disse che questa cassa era stata portata da lei nei sotterranei della Basilica di Santa Maria Maggiore dove stavano creando l’archivio della Cosea (l’ente creato da Papa Francesco per far luce sui conti del Vaticano e di cui lei era membro). Lei sa secondo me cosa c’è lì dentro: documenti, forse dei resti, in ogni caso la prova di quello che è successo a mia sorella. Mi sono fatto portare in quel posto ma non è stato possibile accedervi perché da un anno e mezzo Santa Maria Maggiore è commissariata. La zona che mi è stata indicata è stata blindata. Lei mi ha descritto con precisione tutti i passaggi per arrivarci”.
Sembra un romanzo di Dan Brown ma forse la storia d’Italia con i suoi torbidi misteri supera di gran lunga anche il più fantasioso dei romanzieri. E quel che mette i brividi è che tutto questo sia accaduto a una ragazzina come tante, con alle spalle una famiglia semplice e modesta, diversa dalle altre solo perché il padre di Emanuela era un dipendente del Vaticano, un messo papale.
“Faccio tutto questo per mia madre che ancora vive in quella casa”, ha concluso Pietro Orlandi. “Lei mi chiede sempre di Emanuela. Anche io vorrei ritrovare la serenità che avevo 41 anni fa, e che non so più che sapore abbia. Per me il tempo si è fermato quel giorno. Sono critico verso il Vaticano perché è parte della mia famiglia, viviamo lì da cento anni. Com’è possibile tutta questa cattiveria nei nostri confronti, nel voler negare l’evidenza?”, si domanda ancora oggi Pietro Orlandi che infine ha chiesto: “Vorrei tanto poter incontrare Papa Francesco ma lui non vuole che qualcuno mi veda con lui. So che la verità su mia sorella è dura e pesante, perché dietro c’è molto di più della scomparsa di una ragazzina ma il Papa non immagina quante persone apprezzerebbero un gesto del genere. Meglio farlo ora che il terreno regge perché tra un po’ crollerà tutto”.