Barbie
Greta Gerwig costruisce un pamphleth femminista neppure particolarmente originale dimenticandosi che starebbe girando un film
quando in un film per spiegare dei concetti l'autore invece di affidarsi alle immagini si affida ai dialoghi spesso significa che c'è qualcosa che non va.
Purtroppo Barbie, il terzo film da regista di Greta Gerwig, è un film i cui concetti di fondo vengono spesso veicolati attraverso estenuanti monologhi esplicativi e didascalici.
Probabilmente Greta Gerwig non era la persona giusta per realizzare Barbie.
Al di là dell'entusiasmo della Mattel è evidente che alla regista della bambola interessasse poco e nulla se non come mezzo per mettere in piedi un film discorsivo e teorico più che visivo sul femminismo.
Una vera e propria lezioncina ad uso e consumo del grande pubblico, incarnato alla perfezione dal monologo di America Ferrera in cui viene spiegato quanto sia difficile essere donna.
Il punto purtroppo è proprio che Greta Gerwig invece di mostrare le cose, il più delle volte le spiega.
Non si capisce nemmeno bene che film avesse in mente la regista.
Se una commedia con scene slapstick come nelle sequenze che vedono protagonista Will Ferrell nella parte dell'Amministratore delegato della Mattel, incarnazione del patriarcato declinato nelle vesti di una serie di perfetti deficienti; oppure un musical kitsch e coloratissimo come nelle varie e riuscitissime sequenze di ballo o in tutta la prima parte, la migliore, in cui viene descritto il mondo perfetto in cui vivono le varie Barbie compresa Margot Robbie ed i vari sottoposti Ken primo tra tutti un sorprendente Ryan Gosling.
Fatto sta che nel momento in cui Barbie stereotipo comincia a manifestare delle disfunzioni e si reca nel mondo reale seguita (a sua insaputa) da Ken il film si sfalda inesorabilmente svelando una trama ai limiti dell'inesistente che spreca occasioni su occasioni, ricorre continuamente ai dialoghi per mettere bene in chiaro gli intenti militanti e femministi e alla fine si arrende definitivamente non sapendo bene come chiudere la vicenda.
Tutto è spiegato, dalla “presa di coscienza” di Ken, allo scontro tra la realtà idilliaca di Barbieland contrapposta ad un mondo in cui invece sono gli uomini a comandare e per le bambine come Sasha (Ariana Greenblatt) Barbie è esattamente il contrario che un simbolo di liberazione.
Rimangono così dei singoli sprazzi, a partire dalla descrizione della giornata perfetta di Barbie, mentre il resto crolla, perdendo pezzi per strada, come nel caso dei dirigenti della Mattel che inseguono Barbie nel suo mondo e che ad un certo punto vengono letteralmente dimenticati oppure lasciando morire suggestioni che avrebbero potuto rendere molto più interessante il film a partire dall'interrogativo su dove vivano i vari Ken dei quali non si sa nulla.
Greta Gerwig insomma appare preoccupata solo di veicolare il suo messaggio, peraltro non particolarmente originale e radicale, peccato che poi alla fine le varie immagini che dovrebbero mostrare a Barbie quanto sia bello essere donne, nonostante tutto, ritraggano per lo più madri ricadendo così nuovamente nello stereotipo.
Certo bisogna pur sempre considerare che Barbie è un film destinato alle masse che deve comunque far guadagnare altri miliardi alla Mattel ed accontentarsi del fatto che gente che mette piede due volte l'anno in un cinema abbia avuto la sua brava lezioncina, ma onestamente è una magra consolazione.
La verità è che il film sulla bambola più famosa del mondo c'era già ed era perfetto; durava tre minuti e 22 secondi, si chiamava Barbie girl ed era il video dell'omonima canzone degli Aqua.
EMILIANO BAGLIO