A human position

Ennesimo gioiello privo di distribuzione, per fortuna disponibile su Mubi.

di EMILIANO BAGLIO 11/05/2023 ARTE E SPETTACOLO
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In A human position non ci sono movimenti di macchina, il film è composto da lunghe inquadrature fisse. Spesso tornano gli stessi soggetti ripresi magari da diverse prospettive con differenze quasi minimali; particolari delle case di Ålesund, la città dove è ambientata la storia e dove è nato il regista Anders Emblem; il palazzo diroccato davanti alla casa delle due protagoniste della vicenda; Asta (Amalie Ibsen Jensen) sul letto che carezza il suo gatto.

Inoltre il regista, soprattutto nelle riprese in esterni, si affida per lo più a campi lunghi e lunghissimi, rimane sempre distaccato e distante rispetto alla realtà.

Una scelta estetica che è speculare al senso di estraneità ed apatia di Asta, anch’essa spettatrice passiva della realtà.

L’impressione restituita dal film, anche grazie alla sua costruzione, è che tutto ciò che è importante avvenga ai bordi e più spesso fuori dall’inquadratura ed anche dalla storia, come se nulla dovesse disturbare questa calma apparente.

Ma si tratta, appunto, di pura apparenza; sotto la superficie fredda ed algida del perfetto sistema norvegese e dell’apparente apatia di Asta si nascondono crepe e fantasmi.

Nella vita recente della ragazza, probabilmente, c’è stato un qualche tipo di trauma del quale rimane ora solo una cicatrice sulla pancia.

Ce lo fanno capire le battute dei colleghi quando, dopo un lungo periodo di assenza, torna al suo lavoro di giornalista.

Colleghi con i quali Asta sembra mantenere la stessa distanza che ha nei confronti della vita ed anche della sua compagna Live (Maria Agwumaro) con la quale non riesce più ad avere un’intimità.

Per il resto la sua vita si trascina stancamente in servizi di cronaca locale che non sembrano minimamente interessare Asta ed in giornate stanche e vuote.

Fino a quando nella sua vita non irrompe il caso di Aslan, un richiedente asilo che è stato rimpatriato forzatamente quando si è scoperto che la fabbrica nella quale era occupato violava le leggi sul lavoro.

Aslan non si vedrà mai, eppure la sua vicenda rompe improvvisamente la superficie quieta e vuota della vita di Asta.

A human position diviene così una riflessione sull’apparente perfezione del sistema norvegese, sull’impossibilità di criticarlo e sulla necessità di combattere per preservarlo.

La frattura rappresentata dal caso di Aslan si irradia anche nella vita di Asta e conduce un film apparentemente immobile e costruito per sottrazione verso un finale meraviglioso nel quale la pellicola esplode in tutta la sua bellezza.

Basta la struggente dichiarazione d’amore sotto forma di canzone di Live ad Asta ed ecco che, finalmente, la macchina da presa si avvina al volto della ragazza per riprendere le lacrime che scendono copiose.

Il muro è stato rotto, la vita in qualche modo si ricompone e si può affrontare il futuro nuovamente insieme, abbracciate su di una sedia mentre un raggio di sole ci scalda.

EMILIANO BAGLIO


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