Tori e Lokita

Il nuovo film dei Fratelli Dardenne, un viaggio nella disperazione degli emigranti che dialoga apertamente con il cinema di genere.

di EMILIANO BAGLIO 02/12/2022 ARTE E SPETTACOLO
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Nel corso degli anni abbiamo imparato bene a conoscere il cinema dei Fratelli Dardenne e le sue caratteristiche tanto estetiche quanto etiche.

Il loro è sempre stato uno stile improntato ad un nudo realismo essenziale, caratterizzato dalla macchina a mano e dalla vicinanza fisica di quest’ultima ai protagonisti, spesso interpretati da esordienti sconosciuti.

Proprio questa mancanza di spazio data dallo stare addosso ai personaggi è una delle caratteristiche maggiori del loro ultimo lungometraggio.

Nel loro ultimo film di fatto ci sono solo loro, Tori e Lokita.

Lo spazio esterno ad essi e alle persone che incontrano il loro cammino praticamente non esiste.

Non si esce quasi mai da luoghi chiusi ed angusti dei quali vediamo poco e nulla e non a caso la vicenda si apre su un primo piano di Lokita con sullo sfondo un anonimo muro.

Una scelta estetica soffocante che dà pienamente l’idea di un mondo chiuso in sé stesso dal quale è praticamente impossibile scappare e che deve restituire allo spettatore la stessa terribile sensazione di non avere vie d’uscita, quasi di non avere nemmeno la possibilità di respirare.

Tori e Lokita sono due fratelli non di sangue ma di sventura che hanno cementato un indissolubile legame tra di loro attraverso il viaggio terribile che li ha portati sino in Belgio e del quale ci vengono offerti pochi sbiaditi ricordi.

Ma la loro odissea non è finita, ora devono affrontare da una parte i trafficanti di uomini che li hanno portati sin lì e le loro continue richieste di denaro e dall’altro il miraggio di un permesso di soggiorno per avere il quale Lokita deve dimostrare di essere veramente la sorella di Tori.

In mezzo c’è il loro presente fatto di spaccio di droga per un cuoco locale che è anche l’unico che può procurare a Lokita documenti falsi.

Ovviamente il prezzo da pagare sarà alto.

Forse Tori e Lokita rappresenta un passo di lato dei Fratelli Dardenne, un loro titolo minore.

Certo è che un tempo non avrebbero mai realizzato una sequenza finale così didascalica e si sarebbero fermati un attimo prima.

Lo stesso dicasi del dialogare, esplicitamente  e per la prima volta, con il cinema di genere.

Così improvvisamente ci ritroviamo a fare i conti con una storia di spacciatori e piccoli criminali in una forma ibrida che non sempre funziona.

Piccoli peccati di poco conto quando poi basta una sequenza in cui i due “fratelli” cantano Alla fiera dell’est per fare breccia nel cuore dello spettatore con un film che, nonostante tutto, si deposita nella memoria e torna ad affacciarsi alla mente nei giorni dopo la visione.

EMILIANO BAGLIO


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