Stipendi. Il Governo pensa a misure strutturali. Intanto in Italia i salari più bassi tra i Paesi maggiormente industrializzati

di redazione 11/06/2022 ECONOMIA E WELFARE
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Anticipare già dall'estate almeno un primo step di taglio del cuneo, da consolidare in autunno con la manovra. 

Ma senza ricorrere a uno scostamento.

L'idea, che rimbalza negli uffici del Mef e di Palazzo Chigi, insomma, sarebbe quella di archiviare il prima possibile "la fase dei bonus" e delle misure una tantum, per passare, se ci saranno i margini, a una risposta strutturale. I dettagli sono tutti ancora da scrivere e l'entità dell'intervento da definire.

Anche perché serviranno risorse ingenti pure per continuare a calmierare i costi di benzina e bollette (1 miliardo vale all'incirca ogni mese il taglio delle accise, circa 4 l'azzeramento degli oneri di sistema e le altre misure per contenere i prezzi di luce e gas per famiglie e Pmi).

L'obiettivo di Draghi, su cui ha rinsaldato l'asse con il presidente francese Emmanuel Macron, è di ottenere una risposta europea, almeno prestiti a tassi ridotti in tempi di spread in risalita. Uno Sure 2 su cui la diplomazia italiana sta cercando di costruire consenso così come sul tetto al prezzo del gas, interpretato anche in chiave anti-inflazione.

I tempi, dice un ministro molto vicino a Draghi, sono "maturi" per portare avanti una iniziativa sul potere di acquisto di famiglie e imprese, (e anche pensioni) facendo attenzione a non creare "spirali" di rincorsa prezzi-salari. E un taglio del cuneo - su cui comunque andrebbe cercata l'intesa con le parti sociali - ha trovato in queste settimane il favore di quasi tutte le forze politiche, in antitesi, nel caso del centrodestra, al salario minimo sponsorizzato da Pd e 5S. Rimane un po' di cautela, perché a un anno dalle elezioni politiche, il rischio di strumentalizzazioni è sempre in agguato. Una soluzione, il compromesso ipotizzato dalla viceministra al Mef Laura Castelli, potrebbe essere uno scambio tra taglio del cuneo - che Confindustria chiede da mesi - e aumento di quei salari che ancora sono sotto una certa soglia (9 euro ad esempio).

Una riduzione del costo del lavoro per l'ultimo quadrimestre dell'anno, è una delle valutazioni su cui punta chi spinge per un taglio del cuneo subito, non avrebbe costi elevatissimi. E per trovare le risorse per rendere la misura strutturale (e assorbire anche il taglio già in vigore fino a fine anno) ci si penserebbe con la legge di Bilancio. Ma quando si aprirà il cantiere della manovra ci saranno altri capitoli da affrontare, dal taglio delle tasse alle pensioni per evitare che da gennaio scatti la legge Fornero. "Va cambiata", assicura il ministro del Lavoro Andrea Orlando, costruendo "flessibilità in uscita" e distinguendo i lavori usuranti e i carichi familiari. Altra questione su cui bisognerà riaprire, il prima possibile, il tavolo con i sindacati.

GLI STIPENDI

Gli stipendi medi degli italiani dopo la pandemia sono risaliti un po’, ma la distanza rispetto ad altri Paesi europei con economie equiparabili come Francia e la Germania è aumentata ancora di più. Il salario medio per un lavoratore in Italia è tornato sotto i livelli del 2019, in media 29.440 euro, circa 15mila euro in meno di un tedesco e 10mila rispetto a un francese, ma inferiore anche al livello medio dell’Eurozona di 37.400 euro.

Secondo uno studio realizzato dalla “Fondazione Di Vittorio” della Cgil, in confronto al 2019 l’Italia registra un -0,6%, quasi come in Spagna dove gli stipendi in media più bassi rispetto al nostro Paese, 27.404 euro, -0,7% rispetto a tre anni fa.

Ma mentre, sempre in confronto agli stipendi rilevati prima del Covid-19, la media dell’Eurozona viaggia su un +2,4%, Germania e Francia segnano rispettivamente del +2,3% e del +2%

Il livello dei salari in Germania è infatti di 44.468 euro, mentre in Francia oggi si guadagna in media 40.170 euro, un divario che si è allargato con l’Italia rispettivamente di 2mila e di mille euro.

Il calo percepito in busta paga dai lavoratori del nostro Paese non è però una novità, in quanto segue una tendenza che va avanti da trent’anni: dal 1990 al 2020 sono diminuiti del 2,9% mentre quelli di Francia e Germania decollavano oltre il 30%.

Secondo lo studio curato dall’economista. Nicolò Giangrande, la differenza con le maggiori economie europee si concretizza però anche nella presenza nel mercato del lavoro italiano di più personale poco qualificati e di contro meno professioni più qualificate: nel 2021 l’Italia ha registrato una quota di dirigenti (1,4%) e di professioni intellettuali e scientifiche (13,6%) molto lontane Francia (rispettivamente 5,6% e 23,4%) e Germania (3,3% e 20,7%). (qui per sapere chi sono i manager più pagati in Italia).

D’altra parte, con il 13%, dietro solo al 14% della Spagna, la percentuale di professioni non qualificate è tra le più alte d’Europa, quasi il doppio della Germania (7,7%) e oltre tre punti sopra la Francia (9,8%).

Sul fronte della precarietà nel continente l’Italia non ha invece eguali: l’anno scorso la quota di dipendenti a termine sul totale dei lavoratori dipendenti ha raggiunto in Italia il 16,6% e tra questi occupati a termine la percentuale di occupati a part-time involontario ha raggiunto il 62,8%.

Percentuale superiore alla Spagna (53,4%), ma separata da un abisso rispetto alla media del 23,3% dell’Eurozona, oltre che di Francia (28,3%) e Germania (7,1%) (qui per conoscere il livello medio di salario minimo nei Paesi europei).

Numeri che possono apparire in controtendenza rispetto all’elaborazione dei dati dell’Istat che, come ogni anno, ha rivisto l’indice dell’inflazione “Ipca” che imprese e sindacati, utilizzano come base di partenza nel rinnovare i contratti: secondo l’Istituto statistico gli stipendi di quasi 7 milioni di lavoratori dipendenti del settore privato aumenteranno almeno del 4,7%.


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