La tana

Un film talmente piccolo da rischiare di diventare invisibile, un esordio da proteggere e supportare.

di EMILIANO BAGLIO 07/05/2022 ARTE E SPETTACOLO
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Non riesce difficile capire Giulio (Lorenzo Aloi).

Vive con i genitori sperduto nel nulla in mezzo alla campagna e la sua vita è scandita dai mille compiti di chi lavora la terra.

Inevitabile dunque che quando nel casale vicino arrivi Lia (Irene Vetere) il ragazzo ne rimanga fatalmente affascinato.

La ragazza, al primo incontro casuale al lago, si presenta seminuda e subito comincia un gioco di seduzione carica di erotismo.

Lia sembra quasi voler testare i limiti e la pazienza di Giulio.

Per ogni approccio c’è un passo indietro e dietro ogni incontro ed ogni gesto della ragazza assieme all’erotismo prorompente si accompagna, inevitabile, una pulsione autodistruttiva.

 Così nella corsa in auto di notte a luci spente, oppure nello sdraiarsi in una buca che sembra una tomba, persino in quel camminare all’indietro verso il bordo del precipizio.

È evidente che c’è un dolore segreto nel carattere aspro e scontroso di Lia, nei suoi repentini cambi di umore e nel suo mistero.

La tana, film di esordio di Beatrice Baldacci, è stato prodotto, con un budget di 150mila euro da Biennale College e prende le mosse da Supereroi senza poteri, il corto con il quale vinse quel premio.

Lì l’autrice ripercorreva la propria biografia mescolando filmati privati con elementi di fiction.

La tana, realizzato in appena tre settimane di riprese, è la naturale prosecuzione di quel discorso ed ancora una volta vede al centro il trauma biografico della sua regista.

Al posto dei filmati amatoriali stavolta abbiamo delle riprese in digitale il cui ruolo verrà chiarito nel corso del film in una delle scene più riuscite di un progetto che, inevitabilmente, risente del basso budget e che pure riesce a fare di necessità virtù.

Beatrice Baldacci riesce a costruire un film ambiguo con due ottimi personaggi.

Da una parte un Giulio attonito, stupito e quasi passivo, dall’altra una Lia tanto spigolosa quanto al tempo stesso intimamente alla ricerca di aiuto.

Impossibile, ovviamente, dire quale sia il dolore che si cela dentro il casale di Lia, quella tana del titolo.

Possiamo solo dire che Beatrice Baldacci riesce a costruire un dramma dalle tematiche importanti e cupe ambientandolo, per contrasto, nel verde rigoglioso della campagna ed utilizzando la natura ed il paesaggio come sfondo per le pulsioni auto distruttrici di Lia e che il film azzecca vari momenti veramente riusciti e riesce persino ad aprirsi, nell’ultima parte, ad immagini dal sapore surreale e quasi fantastico il tutto con pochi, pochissimi mezzi.

EMILIANO BAGLIO


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