La fiera delle illusioni - Nightmare alley

Finché si tratta di mettere in scena i suoi amati Freaks Del Toro non sbaglia nulla, ma poi comincia di fatto un altro film del quale è impossibile non vedere i difetti ed una sostanziale superficialità e disinteresse nel realizzarlo.

di EMILIANO BAGLIO 19/02/2022 ARTE E SPETTACOLO
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Ci sono due sequenze rivelatrici nel nuovo film di Guillermo Del Toro.

La prima è quando Stan (Bradley Cooper) entra nella casa degli orrori per inseguire l’uomo-bestia che viene sfruttato da Clem (Willem Dafoe).

È in questa occasione che riconosciamo, visibile, la mano del regista.

Del Toro nel creare questa ambientazione ha dato libero sfogo a tutta la sua fantasia, tra scenografie horror visionarie ed i mille trucchetti tipici dell’attrazione da luna-park.

È insomma evidente che quello che lo interessava di più in questo progetto era tutta la parte della storia ambientata nella fiera/circo dove finisce, un po’ casualmente Stan e dove incontrerà la donna elettrica Molly (Rooney Mara) della quale si innamorerà.

Si tratta, d’altra parte, di un luogo congeniale all’immaginario dell’autore.

Un mondo a parte quasi fantastico popolato da freaks che sembra riassumere alla perfezione i temi da sempre cari a Del Toro, la sua fascinazione nei confronti degli emarginati e dei presunti mostri, la sua continua rielaborazione della storia dell’amore tra la bella e la bestia e la sua capacità di dare vita ad universi fantastici.

Non a caso è questa la parte migliore del film e probabilmente la molla che ha spinto Del Toro a portare nuovamente sullo schermo il romanzo di William Lindsay Gresham dopo la versione del 1947 di Edmund Goulding con protagonista Tyrone Power.

La seconda sequenze chiave, sempre a nostro avviso, è quella in cui Zeena (Toni Collette) riceve la notizia della morte di Pete.

La scena si svolge sullo sfondo, in un campo lungo, mentre in primo piano ci sono dei personaggi intenti a mangiare e a chiacchierare.

Peccato che muovano la bocca senza emettere alcun suono.

A meno di un errore nella copia proiettata ci sembra una dimenticanza sintomo di una leggerezza e di una superficialità che inficiano spesso la riuscita finale del tutto.

Per dirla altrimenti spesso Nightmare alley dà l’impressione di essere stato girato con la mano sinistra e la mente altrove.

Appare come un'opera formalmente corretta, anche se lungi dall’essere impeccabile, con una veste suntuosa ricamata ad hoc per incontrare tanto i favori di quel pubblico che collegherà il nome di Del Toro a La forma dell’acqua quanto della critica e magari, perché no, soprattutto dell’Academy.

Insomma Nightmare alley sembra un piacevole intermezzo realizzato tanto per impegnare il tempo in attesa di gettarsi in progetti più personali.

Questa ipotesi prende corpo concretamente nel momento in cui Stan e Molly abbandonano la fiera e di fatto inizia un altro film, molto più debole del precedente.

Sembra veramente di assistere a due storie quasi completamente staccate l’una dall’altra e piene di spie che denunciano la disattenzione con la quale alle volte sembra realizzato il film.

Tante sono le cose che non funzionano a cominciare dai personaggi e dagli attori.

Così se Cate Blanchett nel ruolo di Lilith si limita a portare sullo schermo sostanzialmente sé stessa e l’ennesima femme fatale, per contro l’interpretazione di Rooney Mara si dimentica subito; Dafoe viene lasciato libero di gigioneggiare fuori controllo e Bradley Cooper appare fuori ruolo soprattutto per quanto riguarda l’età.

E sarà pur vero che molto viene lasciato volontariamente all’immaginazione e alle ipotesi dello spettatore e che non è sempre necessario dare una spiegazione a tutto ma ci sono dettagli quali la ferita di Lilith che vengono gettati lì con noncuranza.

Lo stesso dicasi del complicato rapporto di Stan con l’alcool che non si capisce se sia dovuto a traumi passati come suggerirebbero alcuni dialoghi oppure a qualcosa (probabilmente oppio) che Lilith aggiunge volontariamente nei bicchieri che offre a Stan così come fa Clem con i suoi uomini-bestia.

Peccato perché alle volte il talento di Del Toro riemerge prepotentemente come nella bellissima casa di Ezra, una location perfetta che mescola tanto l’Overlook Hotel quanto la Xanadu di Citizen Kane e l’espressionismo tedesco.

Per fortuna c’è il colpo di coda finale, beffardo, cinico e nerissimo con quella risata/pianto che lascia presagire un destino futuro del quale già conosciamo la triste parabola e che riesce persino a farci provare un moto di pietà nei confronti di Stan.

EMILIANO BAGLIO


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