Mafia. Dopo 25 anni Giovani Brusca torna libero. Scarcerato l'esecutore dell'attentato di Capaci. Maria Falcone "Umanamente addolorata ma la legge va rispettata"

di redazione 01/06/2021 CULTURA E SOCIETÀ
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Ha lasciato il carcere dopo 25 anni, per fine pena, il boss mafioso Giovanni Brusca, 64 anni, fedelissimo del capo dei capi di Cosa nostra, Totò Riina, prima di diventare un collaboratore di giustizia ammettendo, tra l'altro, il suo ruolo nella strage di Capaci e nell'uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo. Ha lasciato lunedì 31 maggio, come scrive L'Espresso, il penitenziario di Rebibbia, a Roma, con 45 giorni di anticipo rispetto alla scadenza della condanna. Sarà sottoposto a controlli e protezione ed a quattro anni di libertà vigilata, come deciso dalla Corte d'Appello di Milano.

La notizia ha trovato conferma in ambienti investigativi.  Giovanni Brusca è l'ex boss che il 23 maggio del 1992 azionò il comando che innescò la strage di Capaci uccidendo il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti di scorta Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro; oggi è tornato un uomo libero. E' accusato anche della brutale uccisione di Giuseppe Di Matteo, il figlio undicenne del pentito Santino: il piccolo è stato strangolato e sciolto nell'acido perché il papà collaborava con la giustizia. L'arresto di Brusca da parte degli uomini della squadra mobile di Palermo avvenne il 20 maggio 1996 a Cannatello, frazione balneare tra Agrigento e Favara, dove il boss trascorreva la sua latitanza col fratello Enzo Salvatore e con le rispettive famiglie. 

Davanti alla prospettiva di trascorrere in carcere il resto della vita, Giovanni Brusca, qualche mese dopo l'arresto, ha cominciato a rivelare i retroscena e il contesto di tanti delitti e degli attentati a Roma e Firenze del 1993. Brusca mise da parte ogni remora quando ebbe la certezza che ne avrebbe ricavato quei benefici che ora gli hanno ridato la libertà. Dalle sue rivelazioni presero l'avvio numerosi procedimenti che hanno incrociato pure i percorsi dell'inchiesta sulla "trattativa" tra Stato e mafia.

Nel suo caso sono stati applicati i benefici previsti per i collaboratori "affidabili". Se ne era già tenuto conto nel calcolo delle condanne che complessivamente arrivano a 26 anni. Siccome il boss di San Giuseppe Jato era stato arrestato nel 1996 sarebbe stato scarcerato nel 2022. Ma la pena si è ancora accorciata per la "buona condotta" dopo che a Brusca erano stati concessi alcuni giorni premio di libertà. Gli ultimi calcoli prevedevano la scarcerazione a ottobre. E' arrivata anche prima. Ora però si apre un caso complicato di gestione della libertà del boss e dei suoi familiari. I servizi di vigilanza, ma anche di protezione pure previsti dalla legge, dovranno tenere conto dell'enormità dei delitti e delle stragi che lo stesso Brusca ha confessato. 

"Umanamente è una notizia che mi addolora, ma questa è la legge, una legge che peraltro ha voluto mio fratello e quindi va rispettata”. A parlare è Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni Falcone, subito dopo che si è diffusa la notizia della scarcerazione di Giovanni Brusca. “Mi auguro solo che magistratura e le forze dell'ordine vigilino con estrema attenzione in modo da scongiurare il pericolo che torni a delinquere, visto che stiamo parlando di un soggetto che ha avuto un percorso di collaborazione con la giustizia assai tortuoso. Ogni altro commento mi pare del tutto inopportuno”, ha aggiunto quindi Maria Falcone.

La legge prevede questo. È giusto? Ognuno può pensarla come vuole. Ma l’idea che l’uomo che fece strangolare e sciogliere nell’acido un bambino e uccise una moltitudine di altre persone torni un libero cittadino ci mostra quelle leggi sul pentitismo sotto il loro aspetto più odioso, quello di uno squallido mercimonio che lo Stato accetta trattando con criminali a cui concede sconti e protezione in cambio di delazioni. E a molti fa male quando si legge una notizia come questa. Ma quello scambio odioso è stato utile. E’ stato decisivo. E senza quelle leggi probabilmente saremmo ancora fermi al tempo in cui qualcuno poteva asserire che la mafia era un’invenzione. Non ci sarebbe stato il maxiprocesso, non ci sarebbero state tutte le cose che sono venute dopo.

La vedova del caposcorta di Falcone, Antonio Montinaro

La libertà per Brusca, colui che il 23 maggio 1992 azionò il telecomando della strage di Capaci dove morì il giudice Giovanni Falcone, ha lasciato indignata Tina Montinaro, la vedova del caposcorta di Falcone Antonio Montinaro: «Sono indignata, sono veramente indignata. Lo Stato ci rema contro. Noi dopo 29 anni non conosciamo ancora la verità sulle stragi e Giovanni Brusca, l’uomo che ha distrutto la mia famiglia, è libero. Sa qual è la verità? Che questo Stato ci rema contro. Io adesso cosa racconterò al mio nipotino? Che l’uomo che ha ucciso il nonno gira liberamente?...». La vedova non nasconde la sua amarezza: «Dovrebbe indignarsi tutta l’Italia e non solo io che ho perso mio marito - dice in una intervista all’Adnkronos - Ma non succede. Queste persone vengono solo a commemorare il 23 maggio Falcone e si ricordano di ‘Giovanni e Paolo’. Ma non si indigna nessuno». Per Tina Montinaro, che oggi è in Polizia a girare per le scuole per raccontare chi era il marito, l’angelo custode di Falcone, tutta la Sicilia «dovrebbe scendere in piazza. Quando questi signori prendono queste decisioni, come la scarcerazione di Brusca, non pensano a noi familiari, non pensano alle vittime. Lo Stato non sta dando un grande esempio - dice - Abbiamo uno Stato che ha fatto memoria per finta. Mancano le parole. Cosa c’è sotto? A noi la verità non è stata detta e lui è fuori e loro continuano a dire perché ha collaborato... E’ incredibile. O ha detto una verità che a noi non è stata raccontata». Alla fine ha concluso: «c’è una giustizia che non è giustizia, allora è inutile cercare Matteo Messina Denaro, noi continuiamo a fare memoria, mi sa che c’è uno Stato che ci rema contro, una politica che ci rema contro».

 


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