Gli ottanta anni di Bob Dylan. Cantastorie, poeta, autore, le tante vite del menestrello che ha vinto il Premio Nobel

di redazione 24/05/2021 ARTE E SPETTACOLO
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Il 24 maggio Bob Dylan compie 80 anni. Nato nel 1941 a Duluth nel Minnesota e cresciuto a Hibbing, la città natale della famiglia materna al confine con il Canada, Robert Allen Zimmerman comincia a presentarsi al pubblico con lo pseudonimo ispirato al poeta Dylan Thomas durante le esibizioni al Ten O'Clock Scholar, un bar di Minneapolis non lontano dal campus universitario dove già frequenta la locale scena folk che gira intorno ai locali di Dinkytown. Nel 1959, dopo un'infanzia passata ad ascoltare country, folk e rock 'n' roll alla radio, e con il bagaglio di esperienza degli anni passati a suonare cover di Little Richard e Elvis Presley nelle band liceali, Dylan è pronto per fare il grande salto e il grande salto è verso New York dove nel 1960 conosce il suo idolo e maestro, Woody Guthrie. Guthrie ha detto Dylan "è stata la vera voce dello spirito americano e io mi dissi che sarei stato il suo più grande discepolo." E New York allora è anche, soprattutto, il Greenwich Village. In un locale del quartiere che negli anni Cinquanta era stata il rifugio dei Beatnicks e che in quei mesi stava diventando la culla del nuova onda folk, il Gerde's Folk City, che, l'11 aprile 1961, Dylan fa il suo vero debutto, ingaggiato per una serie di serate in cui doveva scaldare il pubblico venuto per ascoltare il grande bluesman John Lee Hooker.

Dylan non ha ancora 20 anni e il mito è già in lavorazione. 80 anni di vita e 60 di carriera impossibili da riassumere in poche righe in cui l'unica costante del menestrello di Duluth è stato il cambiamento, una identità elusiva e inafferrabile eppure fortissima, come la sua voce sempre diversa eppure sempre riconoscibile, un marchio indelebile nella storia della musica, attraverso i generi: dal blues del Mississippi allo swing, dal gospel al soul, dal country al rock and roll la discografia di Dylan contiene tutto lo spettro tradizione popolare americana, diventata lingua universale anche grazie alle sue canzoni. Non solo storia della musica: storia della letteratura con un Pulitzer e un premio Nobel, e della società e del costume con le conversioni religiose, le pose, le dichiarazioni sibilline e provocatorie, le citazioni vere e false di un uomo coltissimo e allo stesso tempo un saltimbanco, una rockstar, lui profeta dei diritti civili, campione della canzone di protesta degli anni Sessanta, che trovò l'unico modo possibile per essere fedele discepolo di Guthrie: collegare alla corrente elettrica la chitarra e trasformarsi nel "Giuda" rinnegato dai puristi del folk. Di questa vita artistica passata a rifiutare etichette il titolo di uno dei brani portanti dell'ultimo, celebrato album "Rough and Rowdy Ways", suona come una didascalia definitiva: "I Contain Moltitudes": Il cinema ha provato a contenere questa moltitudine in un racconto biografico. Martin Scorsese - che del film musicale è un vero appassionato, dal mitico The Last Waltz della Band alla serie sul blues al film-concerto Shine a light dei Rolling Stones - si è dedicato per ben due volte al tema con il bellissimo "No Direction Home" del 2005 e con "Rolling Thunder Revue: A Bob Dylan Story" che 15 anni dopo, per Netflix, racconta il celebre tour collettivo del 1975 (nel video una straordinaria e stravolta "A Hard Rain's Gonna Fall"). Progetti, in particolare quest'ultimo, in cui il rigore maniacale del regista-cinefilo newyorkese si applica alla magia tutta cinematografica di far emerge la verità della finzione: "È solo quando uno porta una maschera che ti dice la verità" dice il saggio Bob davanti alla cinepresa dell'amico Martin.

L'altro tentativo ambizioso di raccontare la vita e la musica dell'artista americano è quelle di Todd Haynes ("Safe", "Lontano dal paradiso", "Carol", "Cattive acque") che nel 2007 scelse di rappresentare le varie sfaccettature del personaggio pubblico Dylan, anche in questo caso tra mito e realtà storica,  facendole interpretare da sei attori diversi: Christian Bale, Cate Blanchett, Marcus Carl Franklin, Richard Gere, Heath Ledger (fu il suo ultimo film uscito quando era ancora in vita) e Ben Whishaw. All'inizio del film una didascalia programmatica spiega che il film è "ispirato alla musica e alle molte vite di Bob Dylan". E Bob Dylan nel film non viene citato e non compare se non verso la fine in un breve frammento di un concerto del 1966 e nelle canzoni della colonna sonora reinterpretate da un super cast di artisti di primo piano della scena 'alternative' degli ultimi decenni (da Sufjan Stevens ai Black Keys, da Cat Power a Eddie Vedder).

E il titolo stesso del film è tratto da una canzone proveniente dalle registrazioni dei Basement Tapes del 1967, che non era stata pubblicata ufficialmente prima di essere inclusa in questa  colonna sonora, sia nella prima versione dell'autore sia nella splendida cover dei Sonic Youth: Il 24 maggio Dylan spegnerà le candeline nella sua villa di Malibù. Festa a Duluth e Hibbing, mentre a Tivoli, Stato di New York, sarà Patti Smith, che nel 2016 ritirò a suo nome il Nobel, inceppandosi commossa nel cantare "A Hard Rain", a rendergli omaggio in due serate. Il resto lo dicono i numeri: 125 milioni di dischi venduti, dieci Grammy, l'Oscar nel 2001 per "Things Have Changed" dal film "Wonder Boys" e, recentemente, i 300 milioni di dollari sborsati dalla Universal Music per il suo catalogo musicale. Infine l'annuncio dell'apertura, tra un anno, dell'archivio segreto affidato al miliardario del petrolio George Kaiser: il Bob Dylan Center sorgerà a Tulsa, Oklahoma, dove già sono custodite le carte dell'amato Woody Guthrie. Come disse Barack Obama consegnandogli nel 2012 la Medaglia della Libertà: "Non c'è gigante più grande nella storia della musica americana".  


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