"Vino torbido. Di vino, di morte e di altre miserie". L'esordio editoriale in "giallo" di Marcello Favale

di M.L 03/05/2021 ARTE E SPETTACOLO
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Negli ultimi anni il mercato editoriale italiano sembra dare segni di risveglio. Certamente la pandemia favorisce gli acquisti, soprattutto on line, ma è possibile rilevare un rinnovato interesse di molti lettori, e di conseguenza degli editori, per la narrativa di genere. Tra i vari generi il giallo, il noir sembrano avere il favore maggiore e accontentare i gusti di migliaia di lettori di tutte le età. In effetti, gialli e noir da sempre rappresentano per l’editoria una sorta di ancora di salvataggio dalle ricorrenti crisi che il mercato deve affrontare, in Italia come negli altri Paesi. Da noi in particolare le storie, i libri, che raccontano di commissari, ispettori, questori o semplici cittadini che si occupano di risolvere casi di omicidi, sparizioni, misteri si sono moltiplicati rapidamente e riempiono oramai molti scaffali nelle librerie, con risultati di vendita non trascurabili. Oltretutto, le trasposizioni televisive o cinematografiche hanno fatto il resto. Ciò potrebbe spiegare perché decine di autori già affermati si sono lanciati anima e penna in questo ambito come molti autori esordienti che hanno scelto di cominciare proprio da un “giallo”.

Tra gli esordienti Euroroma ha incontrato Marcello Favale, professionista nel settore edile e con una grande passione per i gialli. Favale ha pubblicato per le Edizioni Dialoghi il suo primo romanzo “Vino torbido. Di vino, di morte e di altre miserie”. Il romanzo racconta le vicissitudini del vicequestore Vincenzo Del Duca, dirigente quarantacinquenne di un commissariato di Roma che viene sospeso dal servizio perché accusato di essere coinvolto in Mafia Capitale. Del Duca decide così di trascorrere il periodo della sospensione nel suo borgo natio in Basilicata. Contemporaneamente al suo arrivo in paese, il corpo senza vita del Cavaliere Giovanni Forastiero viene trovato in un tino dove stava macerando l’uva. Tutto fa pensare che la morte sia avvenuta per incidente, ma le valutazioni del vicequestore portano a considerare l’omicidio come causa del decesso. Tra i ricordi che si rincorrono, Del Duca si trova coinvolto, suo malgrado, a indagare sul caso e allo stesso tempo a cercare di risolvere la questione che ha determinato la sua sospensione.

Il racconto è venato da una nostalgia per tempi e luoghi che fanno parte della vita reale e interiore di Favale il quale conduce con abilità il lettore nel suo mondo privato fatto di assenze, presenze sfumate e di una sincera adesione alla vita.

Di seguito il resoconto della chiacchierata con l’autore

 

Dunque, partiamo dal personaggio attorno cui ruotano i fatti. Chi è il vicequestore del Duca?

 

Il vicequestore Del Duca è un quarantacinquenne dirigente della Polizia di Stato, lucano di nascita, precisamente di Latronico in Basilicata ma in servizio a Roma dove è riuscito ad affermarsi e farsi apprezzare. Anche se manca da tanti anni dal suo paese non ha mai reciso il legame con Latronico e continua a sentirsi latronichese. Si accorge di quanto sia vera questa sensazione solo quando ci ritorna e ricomincia a viverlo nei suoi ritmi lenti e nei suoi silenzi. Diciamo che il vicequestore Del Duca rappresenta il desiderio e la necessità di avere delle radici.

 

E Giovanni Forastiero, la vittima. Rappresenta anche lui simbolicamente qualcosa o è solo un pretesto narrativo?

 

Il Cavaliere Giovanni Forastiero è inventato di sana pianta e non rappresenta nulla né simbolicamente né idealmente, non è riconducibile a fatti, situazioni o personaggi realmente vissuti. Si tratta di un pretesto narrativo. Un personaggio e una personalità inventate e mutate nel corso della stesura a seconda delle esigenze, dello sviluppo e della piega che il racconto prendeva.

 

I fatti avvengono a Latronico, tuo paese natale. Cosa ha significato ideare e realizzare una storia di omicidio nel tuo paese.

 

Innanzitutto, voglio precisare che Latronico non è solo il mio paese natale. Latronico è il mio paese e basta! Per esigenze lavorative qualche anno fa mi sono trasferito a Roma dove, a onore del vero, mi sono ambientato bene ma resto e resterò sempre un Latronichese. Appena posso ci ritorno, per dirla alla latronichese: “accidimi e iettimi ‘nda li mei”, fammi di tutto, ammazzami anche ma riportami sempre tra la mia gente e nei miei posti.

 

Cosa ha significato ambientare una storia d’omicidio a Latronico? Per te sarà risultato strano e divertente.

Strano perché è una cosa, l’omicidio, che non si è mai verificato a Latronico e spero che mai succederà. Divertente proprio perché non avevo elementi dai quali partire, tipo le reazioni che potrebbero avere le persone di una piccola comunità di fronte ad una eventualità del genere e quindi mi son dovuto calare in panni inusuali. Devo ammettere che mi sono divertito e per fortuna! Se mi diverto diventa tutto più facile, leggero e piacevole.

 

Nella vita finora hai svolto la professione di geometra, come hai avuto l’idea di cimentarti nella scrittura di un romanzo giallo?

Beh, il geometra è la mia professione ed è quello che faccio tutti i giorni e che continuerò a fare per vivere. Per mangiare e, soprattutto, per bere! Ma da sempre mi è piaciuto scrivere. Fin da ragazzo ho scritto delle poesie che chiamo “cose” perché provo vergogna a definirle poesie considerato quanto sia nobile la poesia… cose che tengo chiuse in un cassetto che difficilmente sarà aperto.

L’idea di cimentarmi nella scrittura di un romanzo giallo, noir, mi solleticava già da un poco di tempo e ci pensavo continuamente fino a quando un’idea ha fatto capolino nella mia testa restando lì conservata, forse accantonata ma mai dimenticata. Ci tornavo spesso su e cercavo, mentalmente, di svilupparla fino a quando i possibili sviluppi cominciavano a diventare troppi e così ho deciso che era venuto il tempo di fissarli su una pagina. Da lì è cominciato tutto.

 

A proposito di generi. Quali sono i tuoi gusti letterari, cosa leggi? C’è un autore o qualche libro che ti ha ispirato nella scrittura di “Vino Torbido”?

Leggo di tutto ma gialli, noir e thriller compongono almeno l’ottanta per cento della mia biblioteca. Nessun libro mi ha ispirato in modo particolare per la scrittura di “Vino torbido” ma mentirei se non dicessi che Camilleri, De Giovanni e Manzini non sono stati in qualche modo fonte di ispirazione.

 

Il giallo, il noir oltre ad appassionare il lettore nella ricerca della verità è molto spesso il pretesto che un autore utilizza per scrivere e raccontare la realtà, la contingenza. Sei d’accordo su questo, utilizzi anche tu questo schema narrativo o preferisci tenere separato le due strade?

Credo che i legami con la realtà, in un modo o in un altro, ci debbano essere. Sono fermamente convinto che i richiami e i legami alla realtà servano a far sentire il lettore più vicino al racconto e, a volte, parte di esso.

 

Come spesso accade, chi legge un romanzo giallo o una storia noir si chiede se ci sarà un seguito, una “seconda puntata”. Insomma, Del Duca continuerà a scoprire misfatti?

L’idea di una possibile continuità con questo primo racconto è presente, non fosse altro per un divertimento personale. Per il resto vedremo cosa ne penseranno i lettori. Anzi, prima di ogni cosa, vediamo se ci saranno dei lettori!


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